SOTTO LA BANCA L’ECONOMIA CREPA

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Ovviamente nessuno si è sorpreso che siano stati piazzati prestiti per circa 500 miliardi e nessuno si sorprenderà  se nei prossimi mesi saranno elargiti altri prestiti per un importo che viene stimato sui duemila miliardi di euro. L’Europa che fa acqua da tutte le parti ha riaffermato ancora una volta la supremazia del sistema bancario che – vale la pena ricordarlo – ha fatto esplodere la crisi finanziaria attuale che ha trascinato nel baratro molti stati.
Le motivazioni di questa operazione sono varie. In sintesi: le banche soffrono di una crisi di liquidità  e sono tra di loro estremamente diffidenti; è crollata la fiducia; non ci sono soldi per finanziare l’economia reale e concedere mutui; il rendimento dei titoli di stato è salito alle stelle perché i «risparmiatori» temono default generalizzati; nel 2012 dovranno essere rimborsati una montagna di euro (poco meno di 1000 miliardi) di obbligazioni (pubbliche e private) in scadenza e un po’ tutte le banche che dovranno ricapitalizzarsi per fronteggiare la difficile situazione avranno margini più ampi.

Tutto vero, ovviamente, ma l’Europa ancora una volta ha scelto la strada più tortuosa: quella che pone al centro del sistema economico e sociale le banche e i banchieri e, più in generale, il capitalismo finanziario.
Sicuramente questi prestiti generosamente elargiti dalla Bce produrranno alcuni effetti positivi. Su tutti, evitare il tracollo del sistema finanziario europeo e, a catena, di quello mondiale. Forse i rendimenti dei bond pubblici diminuiranno, forse si allargheranno i cordoni del credito a famiglie e imprese, forse saranno evitati default.
Insomma, forse il sistema finanziario sarà  risanato. Ma della gente comune, dei lavoratori, dei disoccupati nessuno sembra interessarsi. Eppure l’affermazione che pretende che una finanza sana per alimentare un sistema economico sano è falsa. Anche perché per avere una finanza sana occorrerebbe eliminare le troppe zone di grigio che rendono i mercati (un termine sempre più misterioso) estremamente opachi, una foresta da disboscare per tagliare le ali alla speculazione. Su questo fronte, invece, tutto tace. Non si riesce e non si vuole neppure introdurre una piccola imposta (quella che a sinistra si chiama Tobin tax) sulle transazioni finanziarie speculative.
Il punto è un altro: i presupposti della crisi attuale sono – come nel 1929 – non negli imbrogli del sistema finanziario, ma nel malessere dell’economia reale, nel peggioramento nella distribuzione dei redditi che ha generato una classica crisi di sovraproduzione e sottoconsumo; nello sfruttamento intensivo del lavoro provocato da una globalizzazione sempre più aggressiva. Purtroppo le misure liberiste di Monti oggi e Berlusconi e Tremonti fino a meno di 40 giorni fa hanno mosso nella direzione di peggiorare ulteriormente la situazione del lavoro e della distribuzione dei redditi facendo precipitare l’economia in una nuova fase recessiva.
La necessità  quindi non è quella del risanamento del sistema finanziario che – così come oggi è ridotto – potrebbe anche andare in malora senza rimpianti, ma di quello economico. Non tarpando le ali all’iniziativa privata, ma valorizzando e ampliando le funzioni degli Stati negli investimenti e nei consumi. Pubblici, ovviamente.


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