RIPARTIAMO DALLA MESSA IN SICUREZZA DEL TERRITORIO
In Italia «sappiamo ma non lo facciamo» (ha scritto poi Fulvia Bandoli), ecco! La grande opera pubblica più urgente per l’Italia si potrebbe fare ora, subito, con una certa competente intelligenza, poca fatica dei legislatori e dei governanti. Era impossibile con il governo Berlusconi, con il governo degli scandali e dei condoni; forse è impossibile con questo parlamento che ha la stessa maggioranza di eletti dal centrodestra di Berlusconi; comunque era possibile almeno dirlo da parte del nuovo governo di impegno nazionale. Non è stato detto, hanno cominciato male.
Nuove norme (aggiornate e forti dell’esperienza) servono sempre. Un parlamento nuovo e più rappresentativo dell’attuale, magari anche un poco più di sinistra, ecologista, libertario e forse (per non farci mancare niente!) un governo coeso (dopo le primarie) di centrosinistra… potrebbero approvare il primo giorno, nella prima seduta e nel primo Consiglio dei ministri, un piano decennale ordinario per la messa in sicurezza del territorio italiano, un piano straordinario di gesti e atti ordinari. Andrebbe accompagnato da una norma-moratoria, una norma che vieti intanto nuove costruzioni in certe aree. Si tratta di «tradurre» in atti d’indirizzo concreto e di pianificazione vincolante scadenzata il combinato disposto di leggi in vigore: la legge di ratifica della Convenzione Europea sul Paesaggio (2000), la legge sulla difesa del suolo (legge 183 del 1989), le norme della vecchia legge sulle risorse idriche (legge 36 del 1994) su bilanci idrici di bacino, censimento di tutti gli emungimenti e dei pozzi, revisione delle concessioni in uso. Poi certo andrà preparata una nuova legge sulle risorse idriche, imperniata sul testo del Forum dei movimenti, che sosteniamo e per il quale abbiamo raccolto le firme, e difendere la vittoria referendaria.
Si potrebbe fare, inoltre, con una diversa destinazione di fondi esistenti. Fondi nuovi (spesi con circospezione ed efficiente austerità ) servono sempre. Una buona parte dei fondi potrebbero essere individuati rimodulando delibere Cipe e fondi già individuati. Per le prime annualità basterebbe una seria riunione interministeriale del Cipe che, d’intesa con le regioni, riformuli le priorità della legge obiettivo mettendo in testa i piani-stralcio di bacino, una grande opera di «restauro» del corso d’acqua. Quasi tutti hanno piani stralcio per la messa in sicurezza delle aree più a rischio, si tratta di riesaminarli con una selezione di qualità concertata fra stato e regioni. Si potrebbe fare senza nuovi enti, comitati, istituzioni, anzi tagliandone o togliendone qualcuno! Oggi «troppi» (anche privati) hanno poteri sull’assetto dei bacini e sul corso dei fiumi.
Le regioni dovrebbero ricevere fondi ulteriori solo se pianificano davvero e mettono in sicurezza davvero. Le province (se continuano ad esistere) operare controlli più severi sui PRG alla luce della loro pianificazione. I comuni accettare subito volontariamente la richiesta di bloccare intanto nuovi insediamenti e dotarsi di nuovi PRG tendenzialmente a crescita zero di volumi. In questo quadro andrebbe gestita la rilocalizzazione di alcune attività produttive e piani emergenziali con un efficiente sistema di early-warning.
I cambiamenti climatici in corso non sono «reversibili» ed emergenze ci sarebbero state comunque (anche se meno frequenti e intense). La nostra idea di «rinaturalizzazione» dà per scontato che ormai gli ecosistemi sono sempre anche umani. Dunque conviviamo! L’Italia ancora non ha nemmeno il piano di adattamento ai cambiamenti climatici previsto dal negoziato climatico internazionale.
Investire sul territorio non significa edificare! L’industria edilizia si può salvare utilizzando «altro» dal cemento e dal carbone. La vita sociale e collettiva ha bisogno di «edilizia» come assistenza al bene comune suolo e manutenzione del territorio. E di partecipazione dei cittadini, di tanti saperi e diffuse competenze, di efficiente decentramento energetico, di consumi critici, del servizio civile giovanile regionale, dell’ecologo condotto, dell’adozione dei fiumi, di «intraprese» agricole.
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