E Gorbaciov ci confessò “Ho perso troppo tempo”

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Al di là  di ogni attesa, però, Mikhail Gorbaciov non ci apparve distrutto. Sembrava così giovane e pieno di vita, – aveva allora appena sessant’anni – così ironico, vivo e sereno come non era stato più da tanto tempo. Glielo dicemmo. «Lo vedete» rispose. «Presa una decisione, non ci si pensa più. La stessa cosa mi successe nell’85, quando decisi di cominciare. Oggi è uguale. Del resto, l’avevo detto: se il processo di riforma del nostro Stato multinazionale avesse superato la soglia della disgregazione dell’Urss, non ci sarebbe più stato posto per me. Adesso comincia un’altra vita. E io dalla vita non sono stato viziato, per questo non mi spavento. Ho già  provato di tutto. Forse ora inizia una fase di riflessione, di cui ho molto bisogno».
Aveva fatto portare del tè coi biscotti. Ce lo offrì e lui stesso e cominciò a sorseggiarlo, succhiando un pezzo di zucchero duro, secondo la vecchia tradizione russa. Ci disse molte belle parole sull’Italia, su quanto amasse il nostro Paese, su quanto fosse stato importante per la sua crescita politica. Allora gli domandammo perché, parlando alla nazione la sera prima, aveva detto che lasciava il suo posto con inquietudine e speranza. Prima di rispondere si sistemò sulla sedia, sempre accanto al fedele portavoce, Andrej Graciov, e si fece scuro in volto. Fu lì che finalmente avvertimmo tutta l’amarezza, la preoccupazione e anche la rabbia che albergava nel suo cuore. «Parlando al Paese ho misurato le parole. Non vorrei che il processo di formazione degli Stati Indipendenti, e cioè lo smembramento dell’Urss, possa portarci fuori dal terreno democratico. Sarebbe terribile per tutti noi. Abbiamo fatto tanti sforzi per piegare questo mostro totalitario, per dare ossigeno a un nuovo organismo, perché potesse mettersi in moto e superare gli ostacoli. E proprio nel momento finale siamo stati colpiti con il putsch. Io continuo a credere che sarebbe stato meglio creare una nuova Unione, ma sono un politico, e se questa Comunità  di Stati Indipendenti che sta nascendo al posto dell’Urss offre una chance, allora io farò di tutto per appoggiarla». E poi: «La conferenza stampa degli undici presidenti della nuova Comunità  mi è sembrata un combattimento tra galli. Spero di non essere profeta». Invece lo fu.
Certo, quel 26 dicembre 1991 Mikhail Gorbaciov non poteva neppure sospettare che vent’anni più tardi, passata l’Urss, passata la Comunità  e passato anche Eltsin, il suo Paese si sarebbe ritrovato a tu per tu con un nuovo zar capace di “aggirare” le regole più elementari della democrazia. Però quel giorno disse: «Eravamo in dirittura d’arrivo. L’unione si stava riformando. Anche il Pcus si stava trasformando adeguandosi al pluralismo politico. Purtroppo il golpe ha rovinato tutto. Ho detto a Boris Eltsin: Boris Nikolaevic, finché la Russia seguirà  la linea delle trasformazioni democratiche, io non solo la appoggerò, ma la difenderò. Se poi si creerà  una situazione diversa, allora dovrò dare un altro giudizio».
Ma quali sono gli errori che non rifarebbe, Mikhail Sergeevic? «Bisognava sfruttare di più il consenso per muoversi più rapidamente. Anche il negoziato per il nuovo Trattato d’Unione doveva essere anticipato. Ma per questo ci voleva l’alleanza di tutte le forze democratiche che invece hanno continuato a combattersi, e si sono indebolite. Per questo credo di non aver potuto scegliere fino in fondo le mie mosse. Ho perso tempo. Ma ciò non tocca la mia scelta principale, che difendo e di cui sono orgoglioso: aver cominciato le riforme nel 1985. La mia speranza di riformare l’Urss non era un’illusione. No. Io ero il più realista di tutti, perché capivo che senza isolare il partito non avremmo ottenuto nulla. E avevo ragione. La Storia lo dirà ». E poi: «Io sono cambiato insieme al Paese e, d’altra parte, io ho cambiato questo Paese». Allora gli chiedemmo se pensava in qualche modo di rientrare in politica, magari in futuro. «Oggi non posso neppure pensare di passare all’opposizione. Opposizione di cosa? Delle riforme? Contro me stesso? Qualunque cosa accada da oggi in poi, la mia sorte si è già  compiuta. Di fronte a voi siede un uomo che sin dal primo giorno ha cominciato coscientemente a distribuire il potere che aveva. Ora potrò riflettere e dividere con altri il frutto della mia esperienza». Alzandosi dalla sua poltrona di ex presidente ci raccontò ancora delle dure prove a cui era stata sottoposta in quegli anni la sua famiglia. Di Raissa, che ancora non si era ripresa, dopo il golpe. Poi ci abbracciò e ci baciò tutti, come amici. «Vi confesso che i miei la vedono come me – aggiunse – non è un dramma. È nell’ordine delle cose. Anche se da noi non era mai successo prima». «Tutto a posto, vsjo normalno», disse. E scoppiò in una risata liberatoria.


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