Ici e chiesa Benedetta esenzione
Sceglie il «Corriere della sera» – a cui ha concesso, ieri, una lunga e inusuale intervista, segno evidente della volontà di reagire alle polemiche delle scorse settimane – il cardinale Angelo Bagnasco per ribadire la posizione della Cei sulla questione Ici. L’occasione è l’approvazione del decreto «salva-Italia» da parte della camera, che ha votato anche un ordine del giorno Pd-Pdl che impegna il governo a «valutare l’opportunità di definire la questione relativa al pagamento dell’Imu sugli immobili parzialmente utilizzati a fini commerciali» dagli enti ecclesiastici e non profit. E la posizione non cambia: l’esenzione è sacrosanta, anche se c’è qualche peccatore che fa il furbetto e non paga quello che dovrebbe. «Non è un privilegio», spiega dunque Bagnasco, ma «il riconoscimento del valore sociale dell’attività svolta», perché non è giusto che «il mondo della solidarietà debba essere tassato al pari di quello del business». Peccato però che ad essere soggetto ad Imu (la nuova Ici) non sarà solo «il mondo del business», ma anche le abitazioni delle famiglie – tanto care alla Conferenza episcopale – che si limitano a viverci. Bagnasco corregge qualche grossolanità sulla «cresta dei vescovi» detta nei giorni scorsi. Ricorda le cifre, che in realtà sono pubbliche, degli stipendi di parroci (1.000 euro) e vescovi (1.300 euro), dimenticando però di citare i “diritti di stola” a cui può attingere ogni prete: ovvero le offerte – in molti casi obbligatorie e quantificate secondo un tariffario – per battesimi, matrimoni, funerali. Difende l’otto per mille: 350 milioni per gli stipendi dei preti, spiega, «i restanti 650 milioni sono spesi per la Caritas, per i beni culturali, per il Terzo Mondo». Non proprio. Nel 2011 la maggior parte dei 1.118 milioni incassati è stata usata per il funzionamento della struttura ecclesiastica: 467 milioni per edilizia, culto e pastorale, 361 milioni per il sostentamento del clero, 235 milioni per «interventi caritativi» in Italia e all’estero, 55 milioni, infine, accantonati per il futuro.
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