LIBERA MONETA IN LIBERO STATO

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Accetto l’iperbole «salva Italia» nella sua sonorità  retorica, associandola invece a «misure», «provvedimenti», che assumerei come più pertinenti, mentre «manovra» mi odora di truffa, di qualcosa di non detto che va tenuto nascosto. 
Sulla molteplicità  di queste discusse misure del governo Monti non mi pronuncio, per rigore d’incompetenza. All’età  avanzata mia posso dire tranquillamente che non mi riguardano. Se davvero contribuiranno a salvare qualche pezzo d’Italia ancora sano, buona fortuna! Tuttavia, autorevoli interpreti del testo geometrico emesso dal Consiglio dei ministri, mi informano che, in prospettiva, c’è una perdita ulteriore di vita (non miliardi di euro: vita, vivente vita!) perché i rapporti tra persone, enti, commerci, sarebbero sempre più regolati col coinvolgimento digitale-orbitale, e via via meno dalla moneta, metallica o cartacea.
L’euro mi va benissimo: ma è destinato, se i provvedimenti da prendere riuscissero, a farsi invisibile, a perdersi in una brumosa lontananza percorsa da lenti rintocchi di campana. Quel che si sta cercando di far sparire è la stessa moneta contante, la moneta di conio che la Banca Europea emette per essere distribuita attraverso le nostre incessanti elemosine. Io, mendicante semplice o artista di strada, quale fui e sono, dovrò ricorrere al cappello elettronico, con tracciabilità  del marciapiede. 
La bancarella che mi vende Le mie prigioni usate, o un po’ di lattuga e cipolle a caro prezzo, avrà  l’avvoltoio Equitalia che la fissa, pronto a scarnificare l’astuto venditore negligente nel consegnarmi lo scontrino relativo all’importante transazione avvenuta? Caricato elettronicamente, l’avvoltoio non distingue: per lui l’ortolano delle cipolle ha in mira di versare l’incasso della giornata sul proprio conto in qualche Deutsche Bank, impedendo così allo Stato più indebitato d’Europa di pagare scrupolosamente gli interessi sul suo angelico debito. Mi domando: fino a quando sarà  ancora un cittadino libero, di una passabile repubblica parlamentare, quello che viene privato della facoltà  e dell’umile diritto di pagare come vuole qualsiasi cosa gli capiti di desiderare?
C’è motivo per dubitarne. Il cristianissimo Monti spia il bruscolino e non vuol vedere la trave. Un pagamento simpatico, diffusissimo, quello per mezzo assegni, ha da parecchi anni sulla gola il gentile garrote dei governi italiani, e adesso il laccio è sul punto di dargli la stretta finale. Depennare dai reati un reato grave, profondamente antisociale, come l’emissione a vuoto, fu un atto di autentica vigliaccheria e di assurdità  giuridica: subito ci fu un fuggi-fuggi del commercio dall’assegno, denudato vergognosamente di adeguata sanzione penale, e incoraggiata la truffa. Tra poco il libretto di conto corrente sarà  una reliquia del passato, perché il furore governativo di rincorrere la tracciabilità  (parola da gergo squisitamente totalitario) l’avrà  reso, per sfinimento dell’utente, inutilizzabile. 
Vale la pena, per giocare a difendere onorevolmente le Termopili, adoperare quanto si può l’euro come ultima trincea di scambio monetario diretto, e patirne la stessa gonfiatura che ne provocano sordidamente le banche, volendolo sempre più astratto per manovrarlo meglio, pur di conservarlo moneta-moneta, come il sesterzio di Augusto e il tallero di Menelik. E non pagare senza aver contrattato, lottare col negoziante corpo a corpo per farsi ridurre anche di pochissimo il prezzo, non restare passivi di fronte all’esosità  di un ristorante. È rieducazione alla libertà , nell’invasione totalitaria di una economizzazione sfrenata di tutto ciò che respira e racchiude anima vivente: ci si alfabetizza di libertà  anche insistendo che ci venga abbassato di due euro il costo di un paio di mutande. Andatevi a rileggere, nelle meravigliose Novelle verghiane, la storia dell’asino di San Giuseppe: è una lezione di vita, di vita come passione e realtà  all’ombra del sogno. 


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