Villaggio in rivolta «Ridateci la terra»
Una disputa legata a terre confiscate (secondo i funzionari, invece, regolarmente cedute dall’amministrazione) era cominciata in settembre. La scorsa settimana la tensione è deflagrata con un assalto della polizia, l’arresto di alcuni negoziatori, la morte in carcere di uno di loro, l’assedio del villaggio da parte della polizia. Troppo, per non sterilizzare il web.
Il decesso di Xue Jinbo, 42 anni, supera la questione degli espropri e degli indennizzi e aggrava la crisi. Le autorità parlano di cause naturali. Niente maltrattamenti da parte degli agenti: la stampa ufficiale ieri citava il medico forense Liu Shuiping secondo il quale «non abbiamo trovato evidenti cicatrici e fratture» e «i lividi potrebbero dipendere dalle manette e dalla presa degli agenti». I concittadini di Xue invece pretendono il corpo, che la figlia sostiene essere pieno di ematomi: «Se non ce lo danno, hanno qualcosa da nascondere».
Posti di blocco e polizia. Wukan rimane assediata. Come dimostra l’«armonizzazione» di Internet, la vicenda è considerata sì locale ma seria. Le autorità hanno minacciato di stroncare la protesta, ma hanno anche offerto un’«indagine» sull’esproprio, comunicando che alcuni membri locali del Partito comunista sono stati fermati. Non sembra trattarsi, comunque, di moti antigovernativi: la gente di Wukan, anzi, invoca le autorità centrali perché puniscano i dirigenti corrotti e tutelino la comunità . Uno schema che si ritrova molto spesso durante gli scioperi: gli operai danno voce alle loro rivendicazioni e poi il sindacato ufficiale e/o il Partito intervengono come garanti di una normalizzazione soddisfacente. «Non siamo contro il governo. Vogliamo solo le nostre terre», ha dichiarato infatti uno dei manifestanti alla France Presse. Secondo Sun Liping, studioso dell’università Qinghua, sono stati 180 mila gli «incidenti di massa» avvenuti l’anno scorso. Cancellarli dal web si può. Dalla Cina no.
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