Riscaldamento climatico. Chi guadagna dal fallimento di Durban

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Secondo la maggior parte degli osservatori, a Durban gli Stati Uniti e la Cina hanno recitato la parte dei cattivi. Le due potenze, dicono, sono arrivate in Sudafrica pensando unicamente a proteggere i loro interessi. Ma non sono state le uniche. Alcune nazioni meno potenti hanno cercato di salvare il protocollo di Kyoto, con il pretesto di proteggere il pianeta ma animate in realtà  dal desiderio di continuare ad approfittare dei vantaggi di un accordo complesso: sono i paesi dell’Europa dell’est.

Gli ex membri del blocco comunista continuano infatti ad arricchirsi mettendo sul mercato quote di emissione di gas serra e concedendo ad altri paesi come la Spagna di ridurre le emissioni e rispettare gli obiettivi fissati. E a meno che l’Unione europea non intervenga nei prossimi mesi, continueranno a incassare somme spropositate.

Nel 1997, per fare in modo che un paese come la Russia (tra i più inquinanti al mondo) potesse aderire al protocollo di Kyoto, è stata aggiunta una clausola allettante, una contropartita lucrativa che ha però finito col compromettere tutte le altre intese raggiunte: la possibilità  di vendere ad altri paesi le proprie quote di emissioni in eccesso. Per ogni stato, il protocollo ha fissato il tetto massimo di emissioni di CO2 nell’atmosfera, e i paesi più virtuosi sono stati autorizzati a vendere il loro “spazio libero”.

Il problema è che il protocollo ha preso come punto di riferimento le emissioni del 1990. All’epoca l’industria sovietica era altamente inquinante. Negli anni novanta la potenza industriale del blocco dell’Europa orientale si è però dissolta, o ha ridotto il proprio impatto grazie ad alcuni cambiamenti. E così le emissioni sono crollate, almeno sulla carta.

Ecco perché oggi un paese come la Lettonia può vantarsi di aver ridotto le proprie emissioni di CO2 del 478 per cento e guadagnare enormi quantità  di denaro sul mercato delle emissioni. Tra i paesi che hanno ridotto maggiormente le emissioni ci sono l’Estonia (-73 per cento), la Lituania (-71), la Russia (-66), la Finlandia (-64), la Bielorussia (-64), la Romania (-64) e l’Ucraina (-60). Per rispettare gli impegni presi a Kyoto, la Spagna è stata costretta a versare enormi somme di denaro per comprare quote di CO2. Il trattato, insomma, ha fatto la fortuna di tutti i paesi che un tempo si trovavano oltre la cortina di ferro.

A Durban la Russia, principale responsabile della situazione attuale, non ha voluto far parte del piccolo gruppo di stati che hanno scommesso sulla proroga del protocollo di Kyoto. Tuttavia il problema dell’aria calda, come viene chiamata l’ingente quantità  di diritti di emissione di cui dispongono i paesi dell’est Europa, non è stata ancora risolta. La colpa è principalmente dell’Unione europea, incapace per l’ennesima volta di trovare un accordo tra gli stati membri.

Da un lato ci sono i paesi che sperano nella fine dei privilegi collaterali in modo da consentire a tutti (venditori e compratori) di rispettare gli impegni presi senza muovere un dito; dall’altro i paesi dell’est, che considerano i diritti di emissione come una sorta di fondo di coesione per riconvertire l’industria. Ciliegina sulla torta, la Polonia (uno degli stati che negli ultimi mesi ha beneficiato maggiormente del mercato delle emissioni) esercita attualmente la presidenza turnante dell’Unione europea.

Opzione intermedia

Il testo che gli ultimi firmatari di Kyoto, l’Ue, la Svizzera, la Norvegia, l’Australia e la Nuova Zelanda intendono adottare per prolungare il trattato fino al 2017 o al 2020, prevede una valutazione delle “conseguenze del prolungamento” sul volume delle riduzioni di emissioni di gas serra imposte a ogni paese. “È chiaro che si tratta di un problema che l’Ue deve affrontare con decisione”, spiega Aà­da Vila, portavoce di Greenpeace per il riscaldamento climatico, di ritorno dal Sudafrica. “A Durban i paesi dell’Ue non sono stati in grado di parlare con una sola voce, soprattutto perché la Polonia ha voluto giocare le sue carte da sola”.

Greenpeace spera che la situazione possa sbloccarsi con la prossima riunione del Consiglio europeo, che si terrà  a Bruxelles nel marzo 2012. Due mesi più tardi i firmatari di Kyoto 2 dovranno comunicare i loro obiettivi di riduzione o di limitazione quantificata di emissioni, per una seconda fase che comincerà  l’1 gennaio 2013. Questa situazione dovrà  essere risolta a Bruxelles, ma non sarà  facile, riassume Vila. Secondo l’attivista è necessario trovare un'”opzione intermedia” che riduca al minimo questa bolla di gas serra con cui l’Europa dell’est si riempie le tasche.

“L’obiettivo di Kyoto non era quello di fare affari e nemmeno quello di restare immobili comprando quote di emissioni. Si sta compromettendo la vera natura del protocollo”. Secondo i calcoli di Vila, le quote di emissione potrebbero diventare talmente economiche che tutti i paesi dell’Ue potrebbero rispettare gli obiettivi del secondo periodo di Kyoto “senza che nessuno abbia mosso un dito”.

Traduzione di Andrea Sparacino


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