Cresce la protesta dopo la grande manifestazione di Mosca

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Mosca – Il richiamo alla realtà , dopo il giorno dell’esaltazione e dei centomila in piazza, arriva su Facebook. Lo firma personalmente, dalla sua dacia, il Presidente Dmitri Medvedev che preferisce Internet ai discorsi ufficiali ma che diffida dalle conseguenze del mondo libero del web. «Non condivido niente di quello che è stato detto ieri in piazza Bolotnaja», scrive sulla pagina più clickata di tutta la Russia. E precisa gelido parlando di sé in terza persona: «Del resto, il Presidente ha già  ordinato un’inchiesta sull’eventualità  di alcune irregolarità  nelle operazioni di voto. Molte persone ieri hanno manifestato il loro parere. E’ legittimo ma finisce qui«.
Un no secco a tutte le richieste urlate ieri dalla più grande folla che abbia mai manifestato a Mosca negli ultimi vent’anni: no all’annullamento delle elezioni politiche del 4 dicembre; no alle dimissioni del presidente della commissione elettorale; ma soprattutto no all’allargamento delle maglie burocratiche che restringono gli spazi per i partiti e i politici dell’opposizione. Reazione prevista, data quasi per scontata, dagli organizzatori e dai militanti che adesso annunciano nuove dimostrazioni di forza. Almeno una ogni sabato fino a un grande raduno nella capitale per la vigilia di Natale.
L’entusiasmo dei centomila di piazza Bolotnaja dilaga intanto contagioso per tutto il Paese. Cortei e sit-in si sono svolti ieri a San Pietroburgo, nell’Estremo Oriente russo e a Perm, negli Urali. E mentre i social network vengono inondati da incoraggiamenti per le prossime contestazioni, uno dei più politici tra gli organizzatori, l’ex vicepremier eltsiniano Boris Nemtsov, sceglie i microfoni russi di Radio Liberty, la radio finanziata dagli Stati Uniti che si rivolgeva ai cittadini dell’Est Europa durante la Guerra Fredda: «Andremo avanti. La società  civile si è svegliata».
È evidente che i centomila hanno comunque scosso molte sicurezze nel governo. Mentre i manifestanti sgombravano allegramente sotto la neve, nell’ufficio da premier di Vladimir Putin, la discussione è stata lunga e tesa. Annullare il voto viene considerato fuori discussione ma il dibattito interno tra le due anime dello staff di Putin è semmai sulla linea da seguire nei confronti della contestazione. I “falchi” che vorrebbero retate e divieti sono per il momento tenuti a bada dalle “colombe” che rinfacciano loro il disastro della campagna elettorale. Frutto dell’insistenza delle colombe è il messaggio del premier letto dal suo portavoce a ventiquattro ore esatte dalla manifestazione di ieri: «Stiamo ascoltando le voci di tutti, anche di chi ci contesta».
Troppo poco. Putin vorrebbe dare un tocco di apertura democratica almeno alle prossime elezioni presidenziali del 4 marzo. Ma non si comincia bene. Ieri, lo scrittore Eduard Limonov leader del movimento neo bolscevico, era stato autorizzato a usare un grande albergo di periferia per iniziare la sua raccolta di firme che legittimino la sua candidatura. Limonov ne ha approfittato per riprendere gli slogan di piazza Bolotnaja. È stato inviato a lasciare l’albergo e a continuare la raccolta di firme dal sedile posteriore della sua auto.
E il malessere nello staff si può raccontare con un episodio rivelato dal direttore di Radio Eco di Mosca Aleksej Venediktov. Sabato mattina è stato convocato a Mosca un governatore del’Est. Un rimprovero di gruppo, di Putin e dei suoi, per i risultati disastrosi raccolti dal partito nella sua regione. Per niente intimidito, il governatore ha ascoltato la sfuriata e ha risposto: «Io però ho consentito un voto onesto».


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