Sì, è la Rai. Bilancio da paura

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Nel pacchetto delle misure che il direttore generale, Lorenza Lei, ha sottoposto al Cda vi sono la vendita di RaiWay (la società  che gestisce i tralicci e le reti di trasmissione), la chiusura di alcuni uffici di corrispondenza (tra cui Buenos Aires, Mosca e Madrid), la cessione di qualche immobile, un po’ di tagli qua e là . Nessun investimento è previsto nei settori strategici, né vi sono interventi a sostegno di un rilancio dell’azienda: si va verso un progressivo ridimensionamento del perimetro industriale della Rai. I lavoratori sono in agitazione da un anno, da quando il management decise di tagliare i premi di produzione 2010 dei dipendenti (con l’esclusione di dirigenti e giornalisti) per tappare i buchi del proprio bilancio. Nel 2011 il premio di produzione non è stato corrisposto mentre il rinnovo del contratto è fermo da due anni: i dipendenti hanno finora perso una cifra che si aggira intorno ai 5 mila euro. Le iniziative di lotta s’intensificano e si va verso uno sciopero di tutta la Rai. Tutto questo è stato perseguito con fredda determinazione. Buona parte dei suoi programmi sono prodotti da società  esterne che hanno usato la Rai come un bancomat e che si sono tenute la proprietà  dei diritti. Il ricorso al lavoro precario è stato pervasivo, a discapito delle risorse umane interne. L’esternalizzazione delle produzioni verso le varie Endemol, Magnolia, Ballandi Entertainment, ha raggiunto proporzioni che nessun servizio pubblico europeo potrebbe permettersi. L’evasione del canone Rai è stimato intorno al 30 per cento, per una cifra che si aggira intorno ai 600 milioni di euro, quanti ne basterebbero per sanare i debiti dell’azienda. Molti paesi fanno pagare il canone assieme alla bolletta elettrica, non l’Italia, dove il conflitto di interessi ha impedito anche solo di discutere in parlamento l’introduzione di una norma in tal senso: la Rai con i conti in rosso e alla mercé del ministero del Tesoro fa comodo a molti. Verso punto di non ritorno? La situazione è ormai insostenibile, prossima al punto di non ritorno. Servirebbe un colpo d’ala, una radicale inversione di rotta, altrimenti la sorte della Rai è segnata. Bisogna cambiare la legge che disciplina la nomina dei suoi amministratori, sottraendola ai partiti politici e al contempo abolire o ridimensionare i compiti della Commissione parlamentare di Vigilanza. Altrove è stato fatto (in Spagna) senza pregiudicare in alcun modo il carattere pubblico del servizio pubblico ma al contrario tutelando il pluralismo dell’offerta e i diritti delle minoranze e delle parti più deboli della società . Restituire la Rai ai cittadini è fondamentale, perché essa è un bene comune, come l’acqua e l’aria che respiriamo.


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