«Ma il continente germanizzato è un’idea malsana»

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ROMA — «Sì, al momento quella che si vede è un’Europa germanizzata. I mercati dettano l’agenda. Berlino, con Parigi al seguito, dice ciò che bisogna fare. Questo è malsano, profondamente malsano. Ecco perché bisogna risolvere al più presto la questione della legittimità . Riformare rapidamente i trattati, muoversi verso l’unione fiscale e quindi verso l’unione politica. Non dobbiamo prenderci in giro: non possiamo avere ancora a lungo una moneta unica senza unione fiscale e senza unione politica. E per farlo non abbiamo più di 2 o 3 anni. Se è possibile a 27 o 28 bene. Se non è così, chi ha lo stomaco deve farsi avanti. Sarà  un’avanguardia, com’è sempre stato». Joschka Fischer non si fa troppe illusioni. A rischio di apparire apocalittico, l’ex ministro degli Esteri tedesco continua a considerare «l’Europa sull’orlo di un baratro», la sua intera costruzione, non soltanto l’euro, messa in pericolo «come mai mi sarei aspettato di vedere nel corso della mia vita». Fischer era ieri a Roma per partecipare a un dibattito sull’Europa, moderato da Emma Bonino, nel quadro del Congresso del Partito radicale transnazionale. Con lui sul podio, l’ex ministro degli Esteri francese Bernard Kouchner, la giornalista Christine Okrent, l’ex premier ungherese Gordon Bajnai e Marco Pannella. Fischer giudica positivo ma insufficiente l’accordo raggiunto all’alba di venerdì a Bruxelles. «Abbiamo fatto un passo in avanti nella giusta direzione, ma non basta. Questa è una crisi di governance, prima ancora di una crisi finanziaria: c’è la moneta unica, c’è la banca, ma non abbiamo il Tesoro e non abbiamo il controllo parlamentare. La risposta venuta dal Consiglio europeo dimostra che finalmente la consapevolezza comincia a tradursi in azione. Non è un dramma se la Gran Bretagna non ci sta. L’Europa ha sempre avanzato con le avanguardie, anche l’Europa a 6 fu un’avanguardia. L’importante è poi avere regole precise e oggettive affinché anche gli altri possano integrarla. Il problema è che da Bruxelles non è venuto il segnale necessario richiesto dai mercati nel brevissimo termine: chi è il garante di ultima istanza? Sotto questo aspetto la crisi continua e sarà  ancora la pressione dei mercati a orientarne la risposta». Secondo l’ex ministro tedesco, toccherà  prima alla Francia ritrovarsi nel mirino della pressione delle piazze finanziarie, poi anche alla Germania. E probabilmente soltanto allora Frau Merkel troverà  la giustificazione, il sostegno per dire quello che oggi per lei è politicamente indicibile: «Il prezzo della stabilità  dell’euro sarà  una Transfer-union e viceversa. Non c’è l’uno senza l’altra. La Germania sarà  il garante di ultima istanza dei debiti degli altri Paesi, la Banca Europea dovrà  avere un ruolo più attivo e in cambio Francia, Italia e gli altri dovranno fare i compiti e accettare ferrei principi di rigore e stabilità , fissati nero su bianco nei trattati». La cancelliera dovrà  anche abbandonare la sua opposizione all’emissione di eurobond. Contemporaneamente, i partner dovranno darsi una strategia coerente per tornare alla crescita economica, mettere in campo investimenti di lungo periodo nell’educazione, nelle università , nella ricerca: «Non penso che potremo andare avanti senza risolvere le contraddizioni economiche tra i diversi Stati, i diversi tassi di crescita, i diversi livelli di competitività ». Fino ad oggi i mercati «non hanno creduto che i leader europei traessero le logiche conseguenze di avere una moneta comune e fossero in grado di dire qual è la direzione che vogliono prendere». L’accordo di Bruxelles è un primo segnale. Una frecciata, l’ex leader dei Verdi, la dedica alle agenzie di rating internazionale. Quis custodiet ipsos custodes? chi sorveglierà  i sorveglianti, diceva Giovenale. E Fischer ha una proposta per l’Europa: «Si crei un’agenzia di rating europea, strutturata come un’organizzazione indipendente non a fini di lucro, sul modello della Stiftung Warentest, l’agenzia indipendente tedesca per la protezione dei consumatori». Guardando alla prospettiva generale, la finalité nel gergo bruxellese, l’ex vicecancelliere è convinto che il futuro del processo comunitario stia nella trasformazione del Consiglio europeo in governo europeo e nella creazione di una seconda Camera europea, formata sulla base dei Parlamenti nazionali. Per i federalisti doc è una sorta di eresia, ma il realista Fischer dice «che la legittimità  bisogna prenderla dov’è, cioè nei governi e nei Parlamenti nazionali». Quando si parla degli Stati Uniti d’Europa non si dovrebbe pensare troppo agli Stati Uniti d’America. «La nostra è una cultura completamente diversa. Le nostre nazioni hanno secoli di vita, lingue e culture politiche differenti e questo non cambierà . Così se vogliamo avere legittimità  democratica a livello europeo, dobbiamo creare una struttura federale accettabile per tutti, mettendo insieme le istituzioni nazionali che hanno legittimità , quindi esecutivi e parlamenti. La situazione è troppo seria per farci illusioni, dobbiamo pensare a un federalismo realista, da concretizzare entro 2 o 3 anni». Significa dimenticare il metodo comunitario, il ruolo degli organismi come la Commissione? «Il metodo comunitario avevamo già  cominciato a dimenticarlo col Trattato di Maastricht. Ma con questa crisi è impraticabile. Quanto alla Commissione, è la piattaforma di sostegno, l’Unterbau di supporto, ma non può essere la faccia dell’Unione. Né credo che eleggere un presidente della Commissione a suffragio universale darebbe maggiore legittimità  alle istituzioni comunitarie di fronte all’opinione pubblica europea. Anche se parlasse dodici lingue sarebbe percepito come un lontano tecnocrate». Paolo Valentino


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