I cinque nodi dell’equità 

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Sono fondamentali per portarci fuori dal baratro perché con questa manovra, la pressione fiscale salirà  ben oltre il 46 per cento e il peso delle entrate sul totale del reddito generato in Italia supererà  il 50 per cento. Roba da uccidere un canguro di media stazza. Figuriamoci una lumaca come è stato il nostro paese in questi anni.
Perché la manovra sia accettata dagli italiani deve apparire equa, deve richiedere sacrifici ben distribuiti. Diverse critiche mosse alla manovra in nome dell’equità  non sono affatto eque, nel senso che sono sbagliate o superficiali il che distoglie dal trovare correttivi adeguati. Ma è indubbio che l’equità  della manovra può essere molto migliorata nel passaggio parlamentare. Cominciamo dalle tre aree fondamentali su cui si gioca la distribuzione dei sacrifici – casa, pensioni ed evasione fiscale – per poi passare a tasse sul lusso, costi della politica e frequenze del digitale terrestre.
La parte del leone nella manovra (un terzo del totale) è rappresentata dalla tassa sulla prima casa, la nuova Ici, chiamata Imu per non dare un dispiacere a chi l’aveva inopinatamente abolita. Si è scritto che colpirebbe soprattutto i cittadini più poveri. Non è così. Stime preliminari svolte su un modello di microsimulazione costruito sull’indagine sulle famiglie della Banca d’Italia suggeriscono che quasi la metà  del gettito della tassa verrà  raccolto tra il venti per cento più ricco della popolazione. La tassa ridurrebbe ancora di più le disuguaglianze nella distribuzione dei patrimoni se i valori catastali fossero allineati a quelli di mercato. Da anni si parla di rivalutare gli estimi catastali, ma nessun governo ha avuto la forza politica di farlo. Oggi sono magari gli stessi politici che hanno permesso a molti ricchi di pagare un nonnulla per immobili di grande valore ad accusare il governo Monti di inquità . A quanto pare, non c’è limite all’ipocrisia in politica. Per rimediare a questo problema si possono utilizzare i dati dell’Agenzia del Territorio che rilevano sistematicamente le transazioni immobiliari per tipologie di immobili in ogni quartiere ottenendo così valori di riferimento più vicini a quelli effettivi, in attesa del completamento della rivalutazione degli estimi. È un metodo senz’altro preferibile all’aumento proporzionale di tutti i valori catastali contemplato dalla manovra.
La mancata indicizzazione delle pensioni al di sopra di un certo importo (la soglia dovrebbe essere alzata a 1400 euro dopo la presa di posizione della Commissione Bilancio della Camera) è certamente iniqua, ma per ragioni molto diverse da quelle lamentate dai sindacati. I pensionati sono l’unica categoria il cui reddito disponibile non è diminuito durante la Grande Recessione, quando per l’italiano medio la perdita è stata dell’ordine dell’1,5%, con punte del 6% per giovani e famiglie con figli. Quindi può essere equo chiedere anche ai pensionati un contributo di fronte ad una crisi così grave. Stime preliminari di Massimo Baldini, basate su modelli di microsimulazione, (presto su lavoce.info i risultati) dicono che anche in questo caso più del 50% dei tagli colpirebbe il 30% di famiglie italiane più ricche. Ma ci sono due problemi. Primo, non pochi pensionati, soprattutto quelli più anziani, non sono in condizione di rispondere a questa riduzione permanente delle loro prestazioni pensionistiche mettendosi a fare lavoretti per compensare le perdite. Per fortuna sono relativamente pochi a trovarsi in questa situazione: guardando i dati Inps ci si accorge che i pensionati con più di 70 anni hanno mediamente pensioni tra i 500 e i 600 euro, dunque inferiori a qualunque soglia di esenzione sin qui contemplata. Questo spiega anche la relativa esiguità  dei risparmi ottenuti col blocco delle indicizzazioni (meno di due miliardi a regime). Si potrebbe concentrare l’intervento su chi ha preso la pensione di anzianità  negli ultimi dieci anni ottenendo pensioni fino a tre volte quelle medie di vecchiaia e ottenendo rendimenti dai propri contributi nettamente superiori non solo a chi andrà  col contributivo, ma anche a chi ha avuto accesso alla sola pensione di vecchiaia col retributivo. Sarà  come un contributo ritardato al regalo che hanno ricevuto in tutti questi anni. Secondo, nello stabilire le soglie si continua a ragionare come se contassero le prestazioni individuali, quando in realtà  due terzi dei pensionati riceve più di una prestazione. E non pochi hanno altre fonti di reddito. Quindi alzare le soglie non necessariamente rende la misura più equa perché ci possono essere persone che ricevono una pluralità  di prestazioni tutte al di sotto della soglia, totalizzando un reddito pensionistico superiore a questo livello. Bisognerebbe allora sommare tutte le prestazioni pensionistiche ricevute dallo stesso individuo e possibilmente tutte le sue fonti di reddito, esentando solo chi ha redditi al di sotto di un reddito minimo. Terzo, bisognerebbe comunque dare ai pensionati una chance di recuperare ciò che verrà  loro tolto in questi due anni. Un modo per farlo è legare la parte di prestazione eccedente il reddito minimo all’andamento dell’economia italiana: se torneremo a crescere a tassi sostenuti, i pensionati potranno recuperare quanto è stato loro tolto con questa manovra. Servirebbe anche a creare quella constituency a favore della crescita che oggi manca nel nostro Paese.
Ciò che ha eroso il sostegno alle politiche di risanamento in Grecia è il mancato contrasto dell’evasione fiscale che ha permesso a molti di farla franca. Per evitare questo rischio la manovra doveva assolutamente aumentare gli strumenti di deterrenza all’evasione fiscale, a partire dall’incrocio delle fonti statistiche già  disponibili sui patrimoni degli italiani. Non lo ha fatto, mettendosi in linea di continuità  col governo precedente. È invece fondamentale cambiare rotta. Scoraggiando in partenza i comportamenti illeciti, anziché limitarsi ad accertarli una volta che sono stati compiuti, si riesce tra l’altro ad avere benefici immediati dalla lotta all’evasione senza aspettare i tempi lunghi del contenzioso. Non si capisce neanche perché il Governo Monti non intenda sottoscrivere un accordo con la Svizzera sui capitali esportati analogo a quello siglato da Germania e Regno Unito.
Nelle percezioni di equità  contano anche i simboli. Il governo ha voluto puntare sulle cosiddette tasse sul lusso, che dovrebbero fruttare complessivamente non più di 300 milioni. Scelta discutibile perché si rischiano di colpire anche i lavoratori di industrie in cui il nostro Paese è all’avanguardia. Ma se proprio si vuole seguire questa strada bisogna farlo con perizia. La tassa sulle automobili di lusso prende come riferimento la potenza del motore, colpendo allo stesso modo chi ha auto usate con valori commerciali vicini allo zero e chi ha una Mercedes nuova di zecca, del valore di 150.000 euro. Il fatto è che le autovetture si deprezzano molto rapidamente. Perché non tassare allora in base al valore commerciale delle autovetture?
Per risultare più equi agli occhi degli italiani, il governo poteva portare i compensi dei parlamentari allo stesso livello dei politici in altri paesi europei. Può ancora farlo. Non c’è bisogno di una legge ad hoc. Basta decurtare il bilancio della Camera e del Senato obbligando così i due rami del Parlamento a tagliare drasticamente le componenti accessorie della retribuzione di deputati e senatori. Ad esempio, gli uffici di presidenza di Camera e Senato potrebbero decidere che i rimborsi vengono concessi solo a fronte di ricevute di spese effettivamente sostenute o che i collaboratori dei politici devono essere pagati direttamente dalle due Camere e non dagli stessi parlamentari –il che permetterebbe tra l’altro di regolarizzare la posizione contributiva di molti “portaborse” che oggi (sic!) lavorano in nero.
Infine equità  significa smettere di regalare il patrimonio pubblico. Lo abbiamo chiesto al Ministro Passera fin dal giorno del suo giuramento: bisogna porre fine all’assegnazione gratuita dei canali sul digitale terrestre agli operatori televisivi. Se non è più possibile intervenire sulle procedure d’asta, bene almeno tassare gli operatori televisivi in base all’utilizzo delle frequenze. Se poi questi non vogliono pagare, dovrebbero restituire le frequenze allo Stato che potrà  rimetterle a gara. E destinare i proventi di questa vendita alla riduzione del debito pubblico.


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