Credito malato, salvataggio da 114 miliardi Richiesta in aumento
BRUXELLES — Nel cuore dell’Europa finanziaria, ci sono le banche. E nel cuore delle banche, c’è un buco che continua ad allargarsi e che deve essere riempito. Questo dicono i dati diffusi ieri dall’Eba, l’Autorità bancaria europea, sulle esigenze di ricapitalizzazione degli istituti dei 27 Paesi: se a fine ottobre si parlava di 106 miliardi per tutta la Ue, ora siamo a 114,6 miliardi; e per l’Italia, il saldo negativo passa da 14,7 a 15,3 miliardi, 700 milioni in più, riconducibili in buona parte a Unicredit e Monte dei Paschi di Siena. La situazione più inquietante e per un certo verso sorprendente è però quella della Germania: il suo sistema creditizio, per il quale era stata diagnosticata in ottobre una falla di 5,1 miliardi, dovrà ora ricapitalizzarsi per 13 e passa. Feroce la replica della Federazione bancaria tedesca: «È una decisione che aggrava le tensioni sui mercati, non si possono escludere conseguenze negative sulla crescita delle economie europee».
Ma l’Eba tira dritto: entro il 20 gennaio, tutti gli istituti dovranno consegnare all’Autorità i rispettivi piani sul patrimonio. I dati erano stati appena diffusi, che la Borsa di Milano rispondeva con un calo secco del 4,29%, e saliva a 444 punti lo spread, il divario di rendimento fra i Btp decennali e gli omologhi Bund tedeschi. Mentre la Banca d’Italia rassicurava «sull’effettiva capacità del sistema bancario di resistere a shock particolarmente sfavorevoli».
In Germania, il problema più serio riguarda colossi come la Deutsche Bank e WestLB, che dovranno raggranellare alcuni miliardi. Si ipotizza che si siano esposte fortemente verso la Grecia, la Spagna e forse l’Italia, ma sono appunto delle ipotesi. In Francia le stime sulle esigenze di ricapitalizzazione sono calate da 8, 8 a 7,3 miliardi, in Portogallo da 7,8 a 6,9 miliardi.
Tutto si riconduce a una «raccomandazione formale» dell’Eba che ha lo scopo dichiarato di «ristabilire stabilità e fiducia nei mercati».
Alle autorità nazionali di supervisione viene chiesto di far sì che le banche «rafforzino le loro posizioni di capitale costruendo un buffer, un cuscinetto-tampone eccezionale e temporaneo di capitale contro le esposizioni al debito sovrano». Le stesse banche dovranno in altre parole aumentare la propria porzione di risorse proprie, sicure, non «contagiate» dal debito, il cosidetto «Core Tier 1»: «Un buffer tale che il capitale Core Tier 1 raggiunga un livello del 9% entro la fine del giugno 2012». Seguono alcuni moniti: «L’ammontare di ogni deficit di capitale identificato si basa sulle cifre del settembre 2011 e l’ammontare del buffer di capitale sovrano non sarà rivisto».
Ma il monito più importante è un altro: «Vendite di titoli sovrani non allevieranno il requisito del buffer che deve essere raggiunto entro il giugno 2012». Vuol dire che per far «cassa» non ci si potranno scaricare i titoli più o meno «contagiati»: perché il loro valore calerebbe ancora di più gli «spread» salirebbero, i mercati si destabilizzerebbero. Restano allora solo due vie per la ricapitalizzazione di ogni istituto: l’aumento di capitale deciso dagli azionisti, o l’intervento dei governi, forse attraverso un Fondo salva Stati. Ma questo è appunto ciò che dovrà decidere questo vertice, e per ora è nebbia.
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