L’antidoto omeopatico alla sconfitta

Loading

L’accidentato percorso teorico di Gianni Vattimo nella riscoperta dell’opera del filosofo tedesco A suo tempo Jà¼rgen Habermas definì il pensiero di Nietzsche come una «piattaforma girevole». Per lo studioso italiano Stefano Azzarà  è in fondo qualcosa di simile: uno specchio o – meglio – un prisma che riflette le vicissitudini, gli umori e gli atteggiamenti cangianti di una parte cospicua dell’intellettualità  italiana di sinistra degli ultimi decenni.
È questo l’angolo di osservazione che Azzarà  scelto nel suo volume Un Nietzsche italiano. Gianni Vattimo e le avventure dell’oltreuomo rivoluzionario (con un’intervista a Vattimo su «Nietzsche, la rivoluzione, il riflusso», manifestolibri, pp. 256, euro 30) per anatomizzare questi cambiamenti è decisamente ben scelto: si tratta della lettura, anzi delle letture, che del pensiero di Nietzsche ha dato Gianni Vattimo nelle diverse fasi della sua carriera filosofica. «L’evoluzione della lettura che Vattimo dà  di Nietzsche – sostiene infatti, e a ragione, Azzarà  – è certamente un capitolo della storia dell’interpretazione del filosofo tedesco alla fine del Novecento ma è soprattutto un capitolo della storia della società  italiana e dei suoi ceti intellettuali, che nei conflitti che attraversano tale società … sono stati completamente immersi».
La lettura nietzscheana di Vattimo conosce sostanzialmente tre fasi. La prima fase, per cui si può fare riferimento in particolare al suo Ipotesi su Nietzsche (1967), vede un tentativo di sottrarre il pensatore tedesco alle letture che lo riducevano ad un precursore (ed ispiratore) del nazismo, evidenziando per contro l’aspetto antistoricistico, antifinalistico e individualistico del suo pensiero. La seconda fase della lettura che Vattimo dà  di Nietzsche – quella contenuta ne Il soggetto e la maschera (1974) – è di gran lunga la più importante, sia per il ruolo che giocò nell’orientare le interpretazioni coeve, sia come sintomo di un più generale atteggiamento di buona parte dell’intellighenzia di sinistra nei confronti del pensatore tedesco.
In questo importante libro Vattimo effettua un’operazione decisamente spiazzante: arruola Nietzsche nei ranghi dei movimenti anticapitalistici dell’epoca. L’«oltreuomo» (così Vattimo traduce lo àœbermensch di Così parlo Zarathustra, per evitare di evocare, con il termine «superuomo», lo spettro del Nietzsche protonazista) è l’uomo nuovo che si è liberato dell’alienazione, il rivoluzionario che – proprio in quanto riesce a spogliarsi dei valori imposti – può superare il capitalismo. In questo modo la critica nietzscheana della modernità  – che giustamente Habermas considerava rivolta anche contro il «contenuto emancipativo» della modernità  stessa – viene trasfigurata in «contestazione rivoluzionaria del capitalismo e dei suoi meccanismi di sottomissione reale». Non per caso, nell’intervista rilasciata ad Azzarà  che completa il volume, Vattimo dichiara: «c’era un grande afflato rivoluzionario nella lettura di Nietzsche che io facevo in quel testo»; e aggiunge una notazione significativa: «io scrivevo Il soggetto e la maschera concependolo quasi come se fosse la filosofia de il manifesto’. Ovviamente al manifesto di Rossanda e Pintor non se ne sono mai accorti!». Comunque sia, la lettura rivoluzionaria di Nietzsche offerta da Vattimo nel Soggetto e la maschera – senza dubbio uno dei suoi testi più tesi e ispirati – è affascinante quanto forzata. Lo stesso Vattimo la abbandonerà  nella terza fase della sua interpretazione nietzscheana, e della sua stessa riflessione teorica: quella che ha il suo culmine nella teorizzazione del «pensiero debole».
Azzarà  individua nel pensiero debole il prodotto e la sublimazione filosofica di una sconfitta storica, che vede – a partire dagli anni Ottanta – il trionfo del capitalismo e il crollo dell’Urss. La rivoluzione si rivela illusoria, e anzi – dice ora Vattimo – viziata dalla pretesa totalitaria di possedere la verità . Contro questa pretesa Vattimo rivendica la decostruzione, l’assenza di un vero senso delle cose, la superiorità  di una loro infinita interpretazione (rimproverando semmai a Nietzsche la tentazione di ricostruire un orizzonte alternativo a quelli tradizionali, cosicché il pensatore tedesco ricadrebbe in un’ambigua tendenza ricostruttiva, se non addirittura in illusioni ontologiche). Dall’orizzonte svanisce la prassi, soppiantata dallo smascheramento del carattere menzognero di ogni metafisica della verità , di ogni pensiero forte. In questi stessi anni un altro ex-rivoluzionario quale Jean-Francois Lyotard parlerà  di «fine delle grandi narrazioni», e poco più di dieci anni dopo sarà  Francis Fukuyama a proclamare la «fine della storia» (1992).
Il Vattimo dei nostri anni ha dovuto prendere atto che la fine delle grandi narrazioni ha portato al pensiero unico neoliberista, e il retrocedere dei progetti emancipativi basati su quelle narrazioni a un drammatico restringimento della democrazia e delle libertà  individuali. Di qui la necessità  di riproporre gli obiettivi dell’emancipazione umana, e il concetto stesso di conflitto, in un contesto mutato e assai meno favorevole degli anni Settanta. Ma questa è un’altra storia. Per affrontare le sue sfide Nietzsche non serve più.


Related Articles

La metafora delle radici nell’identità  delle nazioni

Loading

Lo studioso Maurizio Bettini scardina l’idea di tradizione Nel suo libro edito per Il Mulino, l’autore propone una inversione di tendenza sui miti fondativi delle comuni «culture dei popoli», con illuminanti richiami ai classici

STORIA DELLA CATTIVA AMMINISTRAZIONE

Loading

Un libro di Cassese sulle origini di uno dei mali del Paese    

 

CHI HA PAURA DELL’E-BOOK

Loading

La celebre rivista “Le débat” dedica un numero al futuro dell’editoria. Ecco i pareri di alcuni degli esperti consultati La ricetta dei francesi per far vivere carta e digitale 

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment