Dalle farine alla frutta fresca se il biologico in tavola è falso

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VERONA. Bio santo. Anzi, non più. Bio-tarocco, semmai. Che gli italiani fossero un popolo di bioconsumatori si sapeva (più di uno su due compra cibi coltivati naturalmente o presunti tali). Ma che ci siano in giro almeno 700mila tonnellate di prodotti che di bio hanno solo l’etichetta (per di più importati dall’estero), dimostra che siamo anche un popolo di creduloni.
E comunque: se negli ultimi cinque anni avete acquistato soia, farine, frutta fresca, favino, frumento venduti come biologici, c’è una buona probabilità  che vi abbiano rifilato un pacco. In compenso avete ingrossato le casse di una banda di pirati della tavola: sette truffatori che con il bio farlocco hanno alimentato un mercato da 220 milioni. Tanto valgono le 700 mila tonnellate di prodotti che – secondo la Guardia di finanza di Verona – dal 2007 a oggi sono state messe in commercio con le etichette tanto amate dagli alfieri dei cibi coltivati senza l’uso di concimi sintetici. Settecentomila tonnellate fanno il 10% dell’intero mercato nazionale del bio. «Una frode impressionante – hanno spiegato gli investigatori – ma che non comporta nessun rischio per la salute pubblica». I banditi del bio sono cinque imprenditori, il direttore dell’organismo di certificazione e controllo di suolo e salute delle Marche e un consulente della stessa direzione regionale. Tutti arrestati con le accuse di frode in commercio e associazione per delinquere. Le ditte finite nel mirino della Finanza sono distribuite tra Verona (Sunny Land, Società  agricola Marinucci, Bioagri, La Spiga), Pesaro-Urbino e Foggia (Bioecoitalia srl). Duemilacinquecento le tonnellate di merce sequestrata: si tratta soprattutto di prodotti importati da altri paesi – per lo più Romania. «La filiera del bio è insidiosa perché è lunga e fatta di tanti passaggi – dice Stefano Masini della Coldiretti – . L’unico antidoto è accorciarla, avvicinando produttore e consumatore». È un mercato in continua espansione il biologico in Italia: premiato dal 52% dei consumatori, e schizzato dal miliardo di fatturato del 2000 agli oltre 3miliardi attuali. Cresce, di pari passo, anche il business dei taroccatori. L’agribiotruffa fattura ogni anno 500 milioni e i sequestri dei Nas sono più che raddoppiati dal 2009. Ora immaginatevi una fila di tir carichi di 7 milioni di quintali di prodotti alimentari lunga oltre 500 km, e cioè la distanza tra Verona e Roma. È quello che l’industria delle frodi biologiche ha immesso nel mercato dal 2007 a oggi. Il record, sia in positivo sia in negativo, spetta alla Sicilia, regione leader coi suoi oltre 8mila operatori biologici (in Italia sono 47mila) e i suoi 226mila ettari di terra coltivata senza armi chimiche (seguono Calabria e Puglia, mentre al Nord si concentrano le imprese di trasformazione). I trucchi dei truffatori? Prima di tutto il “mischione”: il coltivatore dichiara di produrre 50 kg di ortaggi per ogni metro quadrato in un terreno che invece ha una capacità  produttiva di 10 kg. Gli altri 40 vengono da un vicino campo coltivato a agricoltura tradizionale. E poi le importazioni: limoni dall’Argentina, olio dalla Tunisia, arance dal Marocco, carciofi dall’Egitto. Un’etichetta, e il prodotto diventa bio. «Il biologico deve tutelarsi – afferma Paolo Carnemolla, presidente di FederBio – . Sul caso Verona ci costituiremo parte civile in rappresentanza dell’intero settore».


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