Il cupo day after di Vladimir Putin

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Il giorno dopo il voto Dmitrij Medvedev, presidente della Russia ancora per tre mesi e capolista sconfitto del partito del potere, appare di ottimo umore e i suoi commenti ai risultati elettorali sono chiaramente positivi: «Il nuovo parlamento sarà  più vivace – afferma – e produrrà  risultati migliori perché le buone idee nascono da vere discussioni fra posizioni diverse e non dall’uniformità  unanime (…) è questa la democrazia». Russia Unita, nella sesta legislatura dell’era post-sovietica, è rimasta il partito di maggioranza, con oltre la metà  dei seggi, ma ha evidenziato un fortissimo calo di consensi tra gli elettori e dovrà  tener conto, nelle discussioni parlamentari, anche degli altri partiti, tutti in crescita considerevole – pur se ciò significa ancora molto poco, per quanto attiene eventuali correzioni della linea politica generale del paese.
Ma accanto al sorridente Medvedev, il senso vero della giornata elettorale di domenica lo si vede sul viso da funerale di Vladimir Putin, chiamato a sua volta a commentare i risultati del voto e incapace di andar oltre qualche frasetta di circostanza: «Un risultato ottimale – dice – che riflette la .situazione reale del paese». Ed è chiaro che ottimale non significa certo soddisfacente, ma solo che il premier nonché supercandidato per presidenziali del 4 marzo temeva forse anche di peggio. Adesso la strada del ritorno al Cremlino per Putin sarà  sicuramente più faticosa, anche se potrà  affrontarla con le mani più libere. Lasciando il partito nelle mani di un Medvedev ormai comunque fuori gioco, in settembre, Putin ha fatto appena in tempo a evitare una débacle personale – e a mettersi nella condizione di presentarsi agli elettori come un supereroe al di sopra delle parti, votato alla salvezza del paese. Per fare fino in fondo questa parte, e ricevere la desiderata standing ovation di consensi popolari nelle elezioni presidenziali, Putin dovrà  però muoversi parecchio: i politologi si attendono da lui a) dei provvedimenti di profonda riforma del partito che lo facciano apparire come «altra cosa» rispetto all’ormai screditata Russia Unita; b) un rinvio delle previste e impopolari misure di consolidamento del bilancio, una sorta di austerità  in previsione dell’arrivo anche in Russia della crisi europea; c) qualcosa che somigli a un vero programma elettorale, con proposte credibili di riforme strutturali per il futuro del paese.
Il tutto, con un paese che sta scoprendo sempre più il gusto della contestazione e della protesta. E con un parlamento che, sia pur sempre largamente controllato dal partito, non potrà  più essere docile come negli ultimi quattro anni.
I numeri che le elezioni di domenica hanno consegnato sono molto chiari: la partecipazione al voto è stata del 60,2% (un discreto calo rispetto al 63,7 di quattro anni fa, anche questo un segno spiacevole per Putin e per il suo partito che si era impegnato al massimo per portare gli elettori ai seggi); quattro partiti, come in precedenza, hanno ottenuto seggi alla Duma e cioè Russia Unita, 238 seggi (ne aveva 315), ottenuti grazie al 49,6% dei voti più il riparto pro quota dei voti andati dispersi; Partito Comunista, 92 seggi (ne aveva 57) con il 19,2% dei voti; Russia Giusta, 64 seggi (ne aveva 38) con il 13,5%; Partito Liberal-Democratico 56 (ne aveva 40) con l’11,7%. I numeri dei voti assoluti per adesso non sono noti, ma da un calcolo approssimativo si può dire che Russia Unita dovrebbe aver ricevuto quasi dieci milioni di voti in meno rispetto al 2007.
Non sono ancora dati definitivi, ma a questo punto le variazioni dovrebbero essere minime, così come è difficile che possano cambiare la situazione i ricorsi presentati immediatamente da due dei partiti che non hanno superato la soglia minima, Yabloko (3,3%) e Giusta Causa (0,6%). Non ha presentato ricorso, almeno per ora, il partito dei Patrioti di Russia (nazionalisti di estrema destra), rimasto intorno all’1% dei voti. E’ vero che ci sono state moltissime segnalazioni di irregolarità  e violazioni, sia da parte degli osservatori di partito sia da parte dello stesso ministero dell’interno, che ha denunciato oltre mille irregolarità  annullando un milione di schede; ma nel complesso non sembra che i risultati annunciati possano essere radicalmente lontani dal vero.
Alcune annotazioni interessanti: i risultati peggiori Russia Unita li ha raccolti non a Mosca, come si prevedeva (ha avuto il 46%) ma nel nord profondo, in Siberia e in Estremo Oriente, dove il partito è rimasto sotto il 40%: nella regione di Yaroslav e in quella di Murmansk i risultati peggiori, con il 29 e il 32% dei consensi rispettivamente. L’affluenza maggiore è stata registrata come sempre nelle regioni caucasiche, con una punta del 94% in Cecenia (e il 99,5% dei voti per Russia Unita!), dove il voto è molto più «comandato» che altrove e dove tradizionalmente il potere, quale che sia, fa il pieno per compensare i risultati deboli altrove. Ricordiamo che Eltsin nel ’96 e Putin nel 2000 vi ottennero percentuali da capogiro l’indomani delle rispettive, orrende guerre condottevi. I seggi predisposti nelle ambasciate per il voto dei russi residenti all’estero hanno visto il successo incontestato di Yabloko, il partito liberale di Grigory Yavlinskij che negli anni ’90 aveva goduto di un buon successo anche in patria. Yabloko ha anche vinto le «elezioni online» indette dal giornale in lingua inglese The Moscow Times.


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