“Ora una Russia senza Putin” la sfida della piazza dopo il voto

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Mosca – In tv dicono che non è cambiato niente ma c’è una folla nuova per strada che urla sotto la pioggia: «Rossija bez Putina», «Una Russia senza Putin». E non sono i soliti volti schedati delle manifestazioni del 31 del mese, attivisti di professione, e politici banditi dal parlamento. Ci sono mamme con bambini, studenti, pensionati con colbacco e bandiera russa sventolante. Diecimila persone, che a Mosca è un numero che non si vedeva dai tempi della fine dell’Urss. Un coro che scuote le vetrine del quartiere snob di Cistje Prudy e che arriva lontano fino alle rive della Moscova, alle atmosfere cupe delle stanze del premier Vladimir Putin alle prese con una crisi personale e politica che non si sarebbe mai aspettato fino a pochi mesi fa. «È arrivato davanti a una linea rossa – dice preoccupato Mikhail Gorbaciov ai microfoni di Radio Eco di Mosca – Adesso si fermi e rifletta bene. È ancora in tempo per lasciare che tutto resti dentro un processo democratico e senza violenze. Attenzione ai gesti che possano chiamare il popolo alla rivolta».
Il risultato ufficiale del voto di ieri ha in effetti il senso di una linea di confine verso un futuro incerto. Il partito Russia Unita, ha comunque vinto le elezioni, ha pure salvato in extremis la maggioranza assoluta dei seggi. Ma ha avuto appena il 49,5 per cento dei voti. Oltre il 15 per cento in meno che nel 2007. Putin fa sapere ai tg che non è preoccupato. Che «per varare le leggi bastano 220 deputati e noi ne abbiamo 238». Ma sono calcoli buoni per un premier qualunque, non per uno che ha fondato il suo potere sul mito del “grande consenso”.
E poi a quelle cifre, alle percentuali che la televisione continua a ripetere da ventiquattro ore, sono sempre meno a credere. Le denunce di brogli, calcoli falsati, minacce ai seggi, dilagano su Internet e perfino sui giornali più moderati. Lo ribadiscono autorevolmente gli osservatori dell’Osce che hanno controllato, tra mille ostacoli e difficoltà  burocratiche, le operazioni di voto in tutto il Paese. Fanno dire a Hillary Clinton: «Il popolo russo ha diritto a un’inchiesta approfondita e indipendente».
E più che la dichiarazione del Segretario di Stato Usa, fa colpo tra la gente di Cistje Prudy, la mancata reazione sdegnata di Putin, la frecciatina di routine contro le ingerenze straniere. Stavolta invece niente. Il premier tace. Il presidente Medvedev, che invece continua a ricevere giornalisti e telecamere, sorride e cambia discorso: «Macché brogli. È tutto regolare. Fondi distolti per falsare il voto? E dove sono questi fondi?».
Notizie che sembrano segnali di debolezza alla folla sotto la pioggia. Il coro si fa sempre più forte: «Rossija bez Putina». E poi anche imprudente: «Putin Vor» «Putin ladro». Succede quando sul palchetto da fiera agricola allestito tra un cordone di poliziotti sale l’eroe dei blogger di Russia, eletto sindaco di Mosca e una volta perfino Presidente, in una delle simulazioni di voto che è il gioco preferito dagli internettari del Paese. È Alkesej Navalnjy, finito pure sulle copertine dei magazine americani per il suo blog anticorruzione. Fisico da marine, volto da ragazzo timido, sbaraglia tutti i convenuti quanto ad applausi e cori di sostegno. Lo applaudono l’ambientalista Evgenja Chjrokova, l’ex vicepremier eltsiniano Boris Nemtsov, l’ex deputato putiniano Vladimir Ryzhkov, giovani gestori di blog diffusi in tutta la Russia. Una strana alleanza di gente diversa per cultura, idee politiche, scelte di vita. «Siamo diversi ma abbiamo un solo obiettivo – grida Navalny – chiamando l’ennesimo applauso – ritornare al rispetto delle regole».
Ma non sono soli i brogli a far male. La cosa più grave resta l’esclusione a priori di partiti e movimenti attraverso decisioni della commissione generale elettorale che non hanno convinto nessuno. Ed è questa la domanda che tutti si pongono tra un intervento e l’altro: «Che farà  Putin? Continuerà  a chiudere la strada a tutte le opposizioni? O allargherà  un po’ le maglie potere?». È la linea rossa di cui parla Gorbaciov. Si vedrà  presto, già  alla vigilia delle elezioni presidenziali del 4 marzo. Al momento, Putin è l’unico candidato. Per sfidarlo ci vogliono un milione di firme che vengono controllate ad arte dalla solita commissione. Tra le pause della manifestazione gli oppositori discutono di un candidato unico che possa affrontare il grande avversario. Le trattative sono in corso. Con i comunisti che dovrebbero però rinunciare al loro leader ventennale Zjiuganov, troppo compromesso. Con i democratici di Grigorj Javlinskij che però ha cominciato male rifiutando l’invito a scendere in piazza. Con i populisti di Russia Giusta già  contesi anche dal partito di Putin.
Ma potrebbe mai un candidato alla guida di una coalizione ancora tutta da inventare, avere qualche possibilità  di successo? Nella serata della gioia e della contestazione ogni utopia è ammessa. Navalnjy risponde serio: «Se fossero elezioni corrette, sì. Dipende da loro, se scelgono di giocare pulito, devono mettersi a rischio». E se ne va, quasi ignorato dai giovani poliziotti di leva che sorridono e dicono pure “arrivederci”. Lo arrestano invece agenti speciali, nascosti in auto dai vetri oscurati, trecento metri più lontano. Niente di grave: accertamenti, controlli, notifiche. Succede ad un altro centinaio di giovani. E un migliaio di altri manifestanti in tutto tra San Pietroburgo e altre città . La linea rossa è sempre più vicina.


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