Brogli, arresti e intimidazioni per Putin è il giorno della verità 

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MOSCA. Arrestata prima dell’intervista. Proprio sotto alle finestre dell’ufficio di Vladimir Putin. Evgenja Chirikova, caschetto biondo, sorriso tirato, ci saluta con la mano mentre due agenti in colbacco e mimetica la spingono dentro un’auto della polizia.
Appuntamento rinviato. Nel vento gelido della piazzetta sulla Moscova restano senza parole otto militanti ambientalisti venuti per gridare insieme alla loro leader qualche slogan contro il governo, a poche ore dal voto. Gli agenti in borghese, che li aspettavano su un camioncino giallo, li disperdono con un urlo al megafono senza nemmeno sporcarsi le scarpe nella neve.
Lassù, al quinto piano della Casa Bianca russa, la sede del governo, non si affaccia nessuno. L’uomo che vincerà  anche le elezioni di oggi ha altro a cui pensare: rimontare in qualunque modo, il clamoroso calo di popolarità  e di consensi che non cambiano nulla nell’immutabile quadro del potere russo ma che sono una ferita aperta nell’orgoglio e nel carisma di un capo che si credeva amato. Nessuno, solo qualche mese fa, avrebbe immaginato che le elezioni politiche si sarebbero trasformate in un referendum su Putin. Ma già  ieri sera quando, a nove fusi orari di distanza, si aprivano le urne della lontana Yakuzia e di tutto l’Estremo Oriente russo, l’interrogativo era solo uno: davvero Russia Unita si assesterà  appena al 53 percento come dicono i sondaggi più cauti e qualificati?
In questo caso Putin perderebbe la maggioranza dei tre quarti del Parlamento che gli ha consentito di decidere in proprio ogni modifica costituzionale. Il voto, sempre secondo i sondaggi, dovrebbe rafforzare invece due vecchie comparse di un’opposizione mai molto incisiva come i comunisti di Zhjuganov e i populisti liberaldemocratici di Zhirinovskij. Qualche possibilità , molto in dubbio, di superare lo sbarramento del 7 per cento (il più alto in Europa) viene concessa al partito democratico Yabloko di Javlinskij. Il resto è fuori. Anche perché non c’è. Ci ha pensato per tempo la commissione elettorale a escludere il tentativo di partito di Mikhail Gorbaciov e l’alleanza Parnas dell’ex vice premier eltsiniano Nemtsov e del celebre scacchista Kasparov. Per risolvere un’altra grana improvvisa si sono usati altri sistemi. Un misterioso “golpe” interno ha liquidato in poche ore l’oligarca Mikhail Prokhorov che si era comprato il movimento di destra Giusta Causa ma che aveva deciso di puntare tutta la sua propaganda contro Putin e Medvedev. Dopo dichiarazioni di fuoco e minacce di scandali, Prokhorov si è rintanato nella sua dacia a meditare sulle sorti di chi tradisce il gruppo di potere. E il suo partito si prepara mestamente all’ennesimo fallimento.
Ma il calo di consensi resta e fa male. Le contestazioni personali a Putin, le manifestazioni spontanee in tutte le piazze del paese, sono segnali cupi. Le contromisure sembrano nervose e un po’ goffe. Lo sanno bene i 650 osservatori internazionali che vigilano sulla regolarità  delle urne. Le stranezze, le smaccate irregolarità  non si contano. L’ordine di votare per Russia Unita è scattato negli uffici, nelle caserme, nelle fabbriche. Lo strano sistema di poter votare in qualunque parte del paese senza obbligo di seggio non lascia prevedere niente di buono. Dall’ufficio di Putin le pressioni ai governatori e amministratori locali sono state continue: siete responsabili diretti del buon esito del voto. La preoccupazione di molti consiglieri più avveduti è che si finisca per esagerare, smentendo i sondaggi con risultati troppo favorevoli al governo per essere credibili agli occhi del mondo. Intanto si è anche calcato la mano per zittire ogni dissenso. Poliziotti sono stati inviati negli uffici di Navalnjy, il blogger anti-corruzione amato dal popolo di Internet. Un’irruzione per “motivi di sicurezza” ha consentito alla polizia di strapazzare per qualche ora lo staff dello scrittore oppositore Limonov. Un giorno intero in carcere invece per la giornalista Shibanova, leader della ong “anti brogli” marchiata dall’accusa d’altri tempi di “ricevere finanziamenti americani”.
Fino all’arresto di Evgenia Chirjkova, la giovane ingegnere che si batte per salvare dalle ruspe la foresta di Khimki, alle porte di Mosca. Rilasciata a tarda sera diceva di essere stata imputata di “comizio non autorizzato”. Rischia carcere e multe. Le hanno anche sequestrato una bilancia di plastica, gioco per bambole delle sue figlie. Dovevano servire, spiega, a chiedere più giustizia. Tenero simbolismo un po’ naà¯f per un pubblico di otto persone. Ma di questi tempi, fa paura anche questo.


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