L’ordine sociale islamico
L’Egitto volta pagina. I risultati della prima delle tre fasi delle elezioni legislative, dicono in modo inequivocabile che le forze islamiste, a cominciare dai Fratelli musulmani, sono le più popolari. I partiti liberali e quelli di sinistra ottengono consensi significativi ma nell’Assemblea del popolo (Camera bassa) saranno una minoranza. L’Egitto perciò si allinea a Marocco e Tunisia. Sugli scenari egiziani e regionali abbiamo intervistato l’analista e giornalista Hani Shukrallah, direttore dell’edizione online del quotidiano al Ahram.
Ci si aspettava una vittoria islamista ma non di queste proporzioni. Oltre ai Fratelli musulmani anche i salafiti hanno ottenuto un risultato eccezionale. Come lo spiega?
Senza dubbio il successo degli islamisti è andato oltre ogni previsione fatta prima del voto. Nessuno si aspettava questa valanga di voti a favore dei Fratelli musulmani e, soprattutto, dei salafiti. È un risultato che ha più di una spiegazione. I Fratelli musulmani sono la forza politica più organizzata e non da qualche mese ma da diversi anni. A mio avviso essere rimasti in semi-clandestinità durante i trent’anni di potere di Hosni Mubarak ha accresciuto il prestigio degli islamisti. A ciò si deve aggiungere che la campagna elettorale insistita sui principi religiosi e sull’aiuto ai più poveri ha dato loro una grossa mano. Gli islamisti inoltre sono considerati una forza di stabilità e d’ordine dai tanti egiziani che guardano con preoccupazione al clima di conflitto interno permanente che si respira nel paese. Infine, ma non certo per importanza, le forze politiche islamiche hanno ricevuto fondi consistenti provenienti da Arabia saudita e Qatar, che poi hanno sapientemente investito nell’assistenza sociale, la loro macchina di costruzione del consenso.
Liberali, laici, giovani rivoluzionari e sinistra, invece risultano ridimensionati.
Fino ad un certo punto, perché comunque hanno raccolto consensi importanti e rimangono punti di riferimento per chi ha partecipato da protagonista alla rivoluzione contro Mubarak. Le forze politiche progressiste pagano soprattutto le loro profonde divisioni. Sono andate al voto con decine di partiti e sigle che hanno sconcertato gli elettori. Gli islamisti, al contrario, alle elezioni sono arrivati compatti e sulla base di accordi raggiunti con largo anticipo sull’apertura delle urne.
Si prevede che le prossime due tornate elettorali non daranno risultati diversi da quelli comunicati ieri. Cosa accadrà da gennaio in poi, i Fratelli musulmani insisteranno per formare un governo a guida islamista?
L’Egitto è una repubblica presidenziale e le Forze armate, che detengono provvisoriamente i poteri del presidente, non rinunceranno alla facoltà di nominare il governo e il primo ministro. Tuttavia nei prossimi mesi non prevedo problemi veri tra militari e islamisti. In realtà queste due forze si sono date una mano a vicenda da quando è caduto Mubarak e non andranno allo scontro frontale. I Fratelli musulmani, che si sono tenuti a distanza da Piazza Tahrir e non hanno mai esercitato vere pressioni sui militari, non spingeranno più di tanto. Piuttosto sceglieranno di attendere il momento più opportuno per formare il loro governo.
L’Egitto è il terzo paese del Nordafrica dove le elezioni danno la vittoria agli islamisti. La Libia è avviata sulla quella strada e in Siria i Fratelli musulmani sono impegnati a sostenere la maggioranza sunnita che si oppone al presidente Bashar Assad. La cosiddetta «primavera araba» si colora sempre più di verde islamico.
Dobbiamo tenere presente, prima di tutto, che elezioni libere e democratiche sono una novità assoluta per l’Egitto e altri paesi della regione e questo è un passo in avanti di eccezionale importanza se paragonato ai sistemi autoritari che dominavano questi tre paesi meno di un anno fa. C’è ancora tanta strada da fare e l’Islam politico dovrà mostrarsi maturo e compatibile con un sistema democratico. In ogni caso non è detto che l’arrivo al potere degli islamisti sia definitivo e duraturo, forse è una fase che la regione deve attraversare prima di approdare ad un quadro politico più articolato e meno sfavorevole a formazioni laiche e progressiste.
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