E l’ok a scatola chiusa scatena le tensioni
Ministri precettati, strutture allertate: Monti si dispone a convocare per domani pomeriggio il governo, così da presentare lunedì la manovra alle Camere e ai mercati.
Il premier ha fretta, ecco perché è orientato ad anticipare a domani il Consiglio dei ministri. Ed ecco perché adotterà lo strumento del decreto, nonostante Schifani e Fini gli avessero offerto la corsia preferenziale e i tempi contingentati in Parlamento, in modo da far approvare la manovra per Natale. Ma al disegno di legge Monti ha preferito il provvedimento d’urgenza, per far entrare subito in vigore le misure economiche ed esibire i «compiti per casa» già fatti ai partner europei.
La mossa del presidente del Consiglio si porta appresso nel Pdl una domanda dal retrogusto amaro: tolti tagli e tasse, se le norme sulla crescita si limitassero alle operazioni di «project financing» e alle semplificazioni, quale sarebbe la valutazione del capo dello Stato? Perché proprio su questo punto Napolitano motivò la sua opposizione all’uso del decreto, quando a Palazzo Chigi c’era ancora Berlusconi.
È un interrogativo che resterà forse senza risposta, spazzato via dalle emergenze e dalle urgenze, compresa quella sul ruolo e la funzione delle Camere. Dinanzi al rischio del default, della fine dell’euro e dell’Unione, il Parlamento sarà solo chiamato a officiare un rito? Avrà cioè solo il compito di ratificare il decreto, oppure i gruppi parlamentari avranno margini tecnici e politici per modificare la manovra? E come si formeranno le maggioranze nelle commissioni e nelle Aule? Come faranno, per esempio, deputati e senatori del Pdl e del Pd ad appoggiare un eventuale emendamento di chi fino a un mese fa era un avversario?
I capigruppo della «maggioranza» concordano nel sostenere che la dialettica parlamentare sarà complicatissima, «sarà la vera grande incognita — spiega Cicchitto — di una fase che non ha precedenti nella storia repubblicana. E l’incognita politica si innesta per di più in una fase di emergenza finanziaria, anche questa senza precedenti». Con il suo ragionamento il rappresentante del Pdl a Montecitorio sembra veder ridotti gli spazi di manovra per i parlamentari. Ma se così stanno le cose, se la crisi detta le misure, una proposta di modifica al decreto potrebbe essere additata come un gesto che lede gli interessi nazionali? Il capogruppo del Pd Franceschini invoca le prerogative del Parlamento e sottolinea che, «in un clima di responsabilità e di sostegno al governo, le Camere — senza snaturare la manovra — hanno il diritto di presentare delle modifiche, purché i saldi restino invariati».
«A saldi invariati», una parola d’ordine che evoca tempi (appena) passati, quando dietro questa frase in codice si scorgevano le tensioni di una maggioranza. Le tensioni oggi sono le stesse di allora, ma la «maggioranza» è diversa. «E non oso pensare — sussurra Cicchitto — cosa potrebbe accadere se passasse un emendamento, che so, del Pdl e venisse bocciato uno del Pd». Ecco le incognite e le difficoltà .
La verità è che in Parlamento la luna di miele con il governo sembra già finita, e Monti — che lo ha capito — appare disponibile a lasciare un margine di intervento alle forze politiche, se è vero che ha messo nel conto «tre letture per l’approvazione del decreto». Il premier lo ha lasciato intuire a quanti gli consigliavano una partenza più morbida per la manovra, da Palazzo Madama e non da Montecitorio, che è Camera più «politica». E dove per di più il presidente della commissione Bilancio è il leghista Giorgetti che — regolamento alla mano — difficilmente farà sconti al governo.
Monti però, volendo attenersi alla regola non scritta dell’alternanza, ha ribadito che «questa volta si partirà dalla Camera. Al Senato peraltro darò il massimo prestigio della seconda lettura». Traduzione: anche a quel ramo del Parlamento sarà data la possibilità di modificare il decreto, lasciando poi alla Camera il compito di approvare il testo in via definitiva.
In questa mossa si scorge la mano di Napolitano, consapevole della difficile navigazione parlamentare per il governo. E nel passaggio tra Scilla e Cariddi, per Monti sarà paradossalmente più semplice evitare gli scogli quanto più la manovra riuscirà a scontentare tutta la «maggioranza». Se il decreto risultasse infatti sbilanciato, potrebbe essere attaccato con il gioco degli emendamenti da quei gruppi che considerassero iniquo il testo. E comunque, sia il Pd sia il Pdl sanno di doversi preparare a seri problemi: i primi avranno difficoltà esterne al Parlamento, nelle piazze e con i sindacati; i secondi avranno difficoltà interne, vista l’opposizione della Lega al gabinetto Monti e i malumori dell’ex area ministeriale del partito.
Il governo sta per salpare verso le colonne d’Ercole della politica italiana. Resta da capire quale sarà il ruolo delle Camere, perché — dice Di Pietro — «nessuno potrà mettere la museruola al Parlamento, riconquistato al confronto e al dibattito. E confidiamo che gli incontri preventivi del premier con i partiti non preludano a una recita già scritta».
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