«Mafia, talpe nel tribunale di Milano»

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MILANO — «Milano può diventare Reggio Calabria»: la ‘ndrangheta in espansione sta esportando al Nord «struttura organizzativa» e «modello di relazioni esterne» che «sponsorizza trasversalmente i partiti appoggiando chiunque possa servire ai suoi interessi». Le procure di Milano e Reggio lanciano l’allarme dopo i 14 arresti dell’altro giorno. In carcere c’è il presidente delle «Misure di prevenzione» del Tribunale di Reggio Calabria, Vincenzo Giglio, nei cui confronti il neoministro della Giustizia, Paola Severino, ha avviato un’azione disciplinare e il pg della Cassazione ha chiesto la sospensione da funzioni e stipendio (il Csm se ne occuperà  il 15 dicembre).
Siedono l’uno al fianco dell’altro il procuratore di Milano Edmondo Bruti Liberati e il collega di Reggio Calabria Giuseppe Pignatone per spiegare che solo «una stretta collaborazione tra uffici giudiziari può portare a risultati significativi». Perché «non si può aggredire un’organizzazione potente come la ‘ndrangheta senza visione unitaria, collaborazione chiara e leale, lavoro di squadra e senza gelosie e conflittualità », precisa il procuratore antimafia di Milano Ilda Boccassini, la quale riconosce che negli ultimi 30 anni «c’è stato un vuoto di monitoraggio al Nord» da parte di una magistratura «miope» che «non ha affrontato questo fenomeno» nonostante i segnali di pericolo. La «’ndangheta ha cuore e centro primario a Reggio Calabria — aggiunge Pignatone — ma con un interscambio criminale opera al Nord e in Lombardia» dove ha acquisito «tecniche sofisticate per occultare i patrimoni». Grazie a quella che l’aggiunto reggino Michele Prestipino definisce la «zona grigia» in cui operano professionisti che mettono a disposizione dell’organizzazione le proprie competenze per riciclare il denaro sporco nelle imprese o trasferirlo all’estero. Un’area che lambisce il mondo della politica in cui i clan provano ad entrare per avere «un loro uomo nelle istituzioni» ed ampliare le relazioni, sottolinea il sostituto milanese Paolo Storari. E deve essere la stessa politica ad immunizzarsi dalle infiltrazioni dato che non «esiste il reato di contiguità », avverte Boccassini, mentre il pm Alessandra Dolci fa capire che si lavora su «misure di prevenzione personali e patrimoniali». Una nebbia che nasconde anche persone che già  appartengono alle istituzioni, come le «talpe» che dagli uffici giudiziari in Calabria o a Milano forniscono informazioni preziose e segrete sulle mosse della magistratura. Su di loro «ci sono lavori in corso», dichiara con «dolore» Boccassini, che punta il dito contro chi fa «antimafia solo parlata».


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