Corruzione, male Italia e Grecia “Così si aggrava la crisi del debito”

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ROMA – Nessun miglioramento per l’Italia sul fronte corruzione, e non sono buone notizie: il livello percepito è molto alto nel nostro Paese, rivela la classifica dell’organizzazione Transparency International che presenta oggi a Berlino il CPI 2011, corruption perception index annuale. Ci piazziamo al poco invidiabile 69esimo posto su 182, quartultimi in Europa, davanti solo a Grecia, Romania e Bulgaria. Risultato molto negativo ed invariato rispetto all’anno scorso. Una macchia che pesa anche sull’euro, sottolinea Transparency, che ci considera accoppiati alla Grecia, in pessima posizione. E indica al tempo stesso come la corruzione stia aggravando la crisi del debito in Europa.

Per l’organizzazione internazionale non governativa, le difficoltà  economiche che attraversa l’eurozona sono “in parte legate all’incapacità  dei poteri pubblici di combattere la corruzione e l’evasione fiscale, fra le cause principali della crisi”, si legge nella relazione. Con conseguenze molto pesanti: la Commissione europea ha quantificato il peso della corruzione per l’Unione al 1 per cento del Pil, pari a 120 miliardi di euro all’anno. Risorse che vengono così sottratte a settori chiave, come l’educazione o la sanità , e causa di rallentamento della crescita economica, come ha rilevato il Fondo monetario internazionale.

Secondo il suo indice graduato da 0 (livello di corruzione percepito come massimo) a 10, l’Italia riceve un rating di 3,9, la Grecia di 3,4: ci attestiamo così in posizione 69 nella classifica delle nazioni più trasparenti, con la Grecia all’ottantesimo posto. Francia e Germania, in cui molti sperano per risolvere i problemi dell’eurozona, si classificano rispettivamente 25esima e 14esima.

“Quest’anno abbiamo visto come la corruzione sia stata al centro di diverse proteste, sia nell’Europa colpita dalla crisi che nel Nord Africa pronto ad iniziare una nuova stagione politica”, ha dichiarato la presidente dell’organizzazione Huguette Labelle, sottolineando così la dimensione più ampia della piaga.

Più che mai, anche alla luce di queste valutazioni, “è necessario che istituzioni, forze politiche, mondo imprenditoriale e società  civile si uniscano e lavorino insieme per raggiungere un obiettivo preciso”, le fa eco Maria Teresa Brassiolo, presidente di Transparency Italia: “abbattere, cioè, il livello di corruzione nel nostro Paese, diminuendo i costi pubblici e quindi il debito, liberando allo stesso tempo risorse essenziali per quell’economia virtuosa che investe e crea lavoro certo e dignitoso”. Il contrasto alla corruzione, quindi, dev’essere priorità  assoluta per lo sviluppo, conclude.

La maglia nera nella classifica va a Somalia e Corea del nord, che condividono il 182esimo e ultimo posto, percepiti quindi come i Paesi più corrotti, con un rating di 1,0. All’opposto, il Paese più “virtuoso” è la Nuova Zelanda, in cima alla graduatoria con 9,5 punti, davanti a tre Paesi nordici: Danimarca (9,4), Finlandia (9,4) e Svezia (9,3), e Singapore (9,2). Gli Stati Uniti sono subito dietro alla Francia, in 25esima posizione. Male la Cina, 75esima, malissimo la Russia, 143esima. La peggiore in Europa è la Bulgaria, all’86esimo posto. 

Per contrastare la piaga rimane molto da fare, rileva la ong: circa due terzi dei Paesi dell’elenco hanno punteggi inferiori a 5. Ed il messaggio per le alte sfere è chiaro: “Che sia in Europa, colpita dalla crisi del debito, o nel mondo arabo, all’alba di una nuova era politica, i dirigenti devono valutare l’esigenza di una miglior governance”, ha sottolineato ancora Labelle.

Non si piazza bene neppure la maggior parte dei paesi arabi, che occupa la parte più bassa della classifica, con rating inferiori a 4. Prima del movimento della “primavera araba”, Transparency aveva ritenuto che “nepotismo e corruzione fossero così radicati nella vita di tutti i giorni che anche le leggi anti-corruzione in vigore hanno poco effetto”.

Per stilare il suo indice, Transparency si basa su dati raccolti da 13 organismi internazionali, tra cui la Banca mondiale, le banche asiatiche ed africane dello sviluppo e il forum economico mondiale.


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