Consumi e lavoro giù e conti pubblici a rischio cosa succede se l’Italia torna in recessione
ROMA – La recessione è tornata in Italia. L’Ocse prevede una caduta del Pil nel 2012 (-0,5 per cento) ma è probabile che nel ciclo negativo ci siamo già dentro. E non ci sorprenderebbe affatto perché tutti gli indici (consumi, produzione industriale, ordinativi, inflazione, occupazione) si muovono in quella direzione senza contraddizioni gli uni con gli altri. L’Istat comunicherà il 21 dicembre i dati relativi al Pil del terzo trimestre dell’anno e in molti tra operatori finanziari ed economisti si aspettano un numero con il segno meno davanti: -0,2 per cento probabilmente. Stiamo tornando indietro, senza essere del tutto usciti dalla Grande Crisi. Il nostro Pil sta disegnano una W, perché questa interminabile recessione è a doppia V. Siamo un po’ saliti e stiamo scendendo di nuovo: dalla stagnazione (che vuol dire una crescita intorno allo zero) alla recessione (che vuole dire che la nostra ricchezza precipita).
I manuali spiegano che si è in recessione quando l’andamento del Pil è per due trimestri consecutivi in negativo. Difficile che per l’Italia si possa ormai evitare di passare dalla teoria alla pratica. Recessione, dunque. Meno benessere per tutti. Meno lavoro e meno soldi. Meno entrate per lo Stato. E anche più sacrifici per il risanamento perché con un Pil in disarmo aumenta il peso del debito e le nostre difficoltà sui mercati.
La recessione potrebbe far lievitare la manovra correttiva per raggiungere il pareggio di bilancio nel 2013 fino a 20-25 miliardi nel biennio, dai 13-15 previsti.
L’Italia è uno dei paesi europei che ha pagato più cara la recessione esplosa nel 2007 negli Stati Uniti. Nel biennio 2008-2009 il Pil italiano è crollato del 6,6 per cento. Peggio è andata per la Germania, -7 per cento. Dopo i tedeschi siamo la seconda economia manifatturiera d’Europa, ma la comunanza si ferma qui: Berlino ha recuperato gran parte del reddito perduto, noi non siamo ancora tornati ai livelli di produzione pre-crisi.
E ormai è un target che non raggiungeremo più. La nostra è una malattia antica: nel decennio 2001-2010 – lo ha scritto l’Istat nel suo ultimo rapporto – «l’Italia ha realizzato la peggior performance produttiva tra tutti i paese dell’Unione europea, con un tasso medio annuo di aumento del Pil di appena lo 0,2 per cento, a fronte dell’1,1 per cento rilevato per l’area dell’euro».
Recessione vuole dire meno occupazione. Dal 2008 sono già saltati quasi 600 mila posti di lavoro. Il massiccio ricorso alla cassa integrazione ha attenuato l’impatto sociale della precedente recessione, ma le ore di cig utilizzate dalle imprese sono state da record: tre miliardi e 300 milioni nell’arco del triennio iniziato nel 2008.
L’Ocse prevede che la disoccupazione aumenterà e passerà dall’attuale 8,1 per cento all’8,6 per cento nel 2013. Ma è il tasso di occupazione che in questi casi è più preoccupante. E a settembre è già scesa dello 0,4 per cento rispetto ad agosto, 86 mila posti in meno. Scendono i consumi (-1,6 per cento a settembre) come gli ordinativi nell’industria (-10,1 per cento quelli dall’Italia nell’ultimo mese). Siamo già nella nuova recessione.
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