Obama vede i leader di Bruxelles «L’America farà la sua parte»
NEW YORK — Modello Federal Reserve per la Bce, la Banca centrale europea. E’ questa, secondo Washington, la via maestra per il salvataggio dell’eurozona. La Casa Bianca lo va ripetendo da tempo, anche se pubblicamente ricorre a varie metafore per non urtare la suscettibilità dei partner della Ue e, soprattutto, della Germania. Quattro settimane fa, al G20 di Cannes, in tutti i «briefing» i rappresentanti di Obama hanno spiegato che gli Usa sono pronti ad aiutare l’Europa, anche «mettendo a disposizione l’esperienza accumulata nella gestione della crisi finanziaria del 2008-2009»: quella affrontata col Tarp, il fondo di salvataggio del Tesoro, e un’imponente manovra di sostegno alle banche attraverso immissioni di liquidità della Fed (la Banca centrale Usa) praticamente senza limiti.
Ieri, incontrando alla Casa Bianca i leader dell’Unione — il capo della Commissione Ue, José Manuel Barroso e il presidente del Consiglio europeo, Herman Van Rompuy — il presidente americano ha ribadito il pieno appoggio di Washington agli sforzi dell’Europa per evitare un collasso della sua unione monetaria. Poi, rivolto ai giornalisti che si mostravano delusi per l’assenza di novità eclatanti, ha spiegato che è «difficile far venir fuori grandi notizie quando due interlocutori vanno d’accordo quasi su tutto».
In realtà , però, l’approccio alla crisi sulle due sponde dell’Atlantico è stato fin qui piuttosto diverso, soprattutto a causa della rigidità di un modello europeo che affida alla Bce un ruolo diverso da quello della Fed, che negli Usa può muoversi a tutto campo. Il «pressing» di Obama sulla cancelliera Angela Merkel perché anche l’Eurotower di Francoforte rischi di più senza trincerarsi dietro il rispetto formale di trattati e regolamenti in una fase così drammatica, fin qui ha avuto poco successo.
Ma gli eventi dell’ultima settimana — le prime, promettenti mosse del governo Monti sulla scena internazionale, le crescenti difficoltà della Francia, la Germania lambita anch’essa dalla crisi in occasione di un’asta dei Bund, il nuovo piano di salvataggio dell’euro discusso nel week end scorso e che potrebbe essere varato il 9 dicembre — hanno aperto uno spiraglio.
I mercati, ieri in forte recupero, hanno subito percepito il segnale e lo stesso Obama ha cercato di aprire un varco: il vertice annuale con i leader arrivati da Bruxelles è stato dedicato soprattutto alle misure necessarie per rilanciare l’interscambio commerciale tra le due sponde dell’Atlantico e per coordinare meglio la politica estera di Washington e Bruxelles sulle sanzioni all’Iran, sull’Afghanistan, il Medio Oriente e l’Est europeo. Comprensibile l’insistenza sul commercio, visto che Usa e Ue, insieme, rappresentano oltre la metà del Pil mondiale. Obama è estremamente preoccupato dalla prospettiva di una recessione dell’Europa, tuttora di gran lunga il primo importatori di merci e servizi Usa, che potrebbe avere conseguenze gravi per un’economia americana già in affanno, quando mancano ormai solo 11 mesi alle elezioni presidenziali.
A un’Europa che si è sentita un po’ marginalizzata dal recente viaggio di Obama nell’area del Pacifico — una missione durante la quale si è parlato molto della centralità acquisita da questo oceano a scapito dell’Atlantico — Washington risponde con un «TransAtlantic Trade Pact» che richiama in parte la nuova zona di libero scambio che sta nascendo tra le due sponde del Pacifico: un piano per realizzare un patto commerciale capace di rilanciare gli affari e l’occupazione che è diventato il cuore del documento congiunto di ieri.
A chi chiede che, con l’Europa semiparalizzata da vincoli normativi e diffidenze reciproche, sia il Fondo monetario a intervenire con enormi prestiti-ponte a favore di Italia e Spagna — interventi talmente massicci da scoraggiare la speculazione per un lungo periodo di tempo — viene risposto che il Fondo non disporrebbe delle risorse sufficienti per affrontare un simile onere, nemmeno se tutti i suoi principali soci fossero d’accordo su un massiccio rifinanziamento della grande istituzione multilaterale. Cosa che i Paesi emergenti sono restii a fare, mentre gli stessi Usa, pur offrendo solidarietà e parlando genericamente di aiuto, continuano da settimane a ripetere che l’Europa ha gli strumenti e le risorse per farcela da sola.
Ma a questo punto, pur di convincere la Germania a cambiare rotta sulla Bce, Obama sembra disposto a concedere qualcosa sul Fmi, chiamato a integrare, non a sostituire, gli interventi della Banca centrale europea.
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