L’Italia e i rom: il Piano Nomadi è solo un brutto ricordo
Che ne pensa della sentenza che rende nullo una norma che il premier Berlusconi e il ministro degli Interni Maroni presentarono come un punto chiave della lotta al fenomeno – o presunto tale – dei campi rom?
L’aspetto più interessante della sentenza è che mette nero su bianco come l’idea dell’emergenza fosse totalmente inventata. Rispetto ai numeri della presenza rom nelle città investite dalla cosiddetta emergenza, in rapporto alla popolazione, non c’era da rilevare nessuna anomalia. Ecco che la strumentalità di quella iniziativa viene sancita da una sentenza del Consiglio di Stato. Che non è composto da pericolosi rivoluzionari, ma piuttosto da magistrati di lungo corso che sono evidentemente capaci di capire quando c’è una strumentalizzazione.
Rispetto alla strumentalizzazione politica, raccogliendo le storie narrate nel libro, che livello di consapevolezza ha trovato tra i rom?
Il fatto di essere usati lo sentono potentemente. Dobbiamo sempre tener presente che gli italiani continuano a pensare che i rom siano tutti coloro che stanno nei campi. Non è così: circa il trenta percento dei rom vive così, anche se li si considera in blocco stranieri. Ignorando che più della metà di loro son italiani, ma non perché hanno acquisito la cittadinanza, ma perché sono italiani da generazioni. Alcuni son qui da seicento anni. Quelli che vivono nei campi, in condizioni di estremo disagio, hanno chiara la percezione di essere usati per un fine che è diverso da quello di garantire loro condizioni di vita decenti. Sarebbe utile, in qualche modo, che la loro ribellione diventasse più udibile, anche nel nostro mondo.
Un passo, quindi, per la comunità : da storia raccontata a narrazione di sé?
Credo che o loro prendono la parola su tutto quello che li riguarda, e assumono in prima persona la rappresentanza dei loro interessi, della loro vita e dei loro desideri, o non ne usciamo. Fino a quandoci sarà la mediazione anche delle più ben intenzionate delle associazioni, su tutto il problema della razionalizzazione della questione rom, la situazione resterà complessa. Ho presentato il mio libro a Palermo, dove è intervenuto un ragazzo rom che vive in un campo vicino alla città , alla Favorita. Lui diceva: ”Per noi ci sono sempre i campi. Una volta ci mettevano nei campi e poi ci ammazzavano”, e si riferiva al porrajmos (persecuzione di rom e sinti durante la Seconda Guerra Mondiale ndr), ”adesso ci mettono nei campi e ci lasciano soffrire”. Mi pare una buona rappresentazione della situazione attuale. Non è pensabile che qualcuno li tiri fuori da lì, loro devono darsi una rappresentanza che risolva la situazione. Fino a quando ci saranno di mezzo delle organizzazioni, credo, avremo campi spostati, smembrati, con persone deportate nel territorio. Uscire dai campi è l’unica soluzione.
L’assessore alle Politiche Sociali del Comune di Milano, Pierfrancesco Majorino, su posizioni diverse da Berlusconi, ha espresso perplessità sull’annullamento del Piano Nomadi in merito ai fondi che prevedeva per l’inserimento dei bambini rom. Condivide?
Mi stupisce che se ne faccia una questione di soldi. L’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali (Unar) ha già il compito di preparare, in tempi ragionevolmente brevi, un piano di spesa per gli ingenti finanziamenti europei previsti per il cosiddetto housing, quindi il problema della casa, che per l’istruzione e l’educazione dei minori. Su questo argomento c’è una disponibilità europea, un investimento Ue, che non si riscontra su altri piani. Rispetto ai fondi negati al Piano Nomadi, a prescindere dalla stupidità insita nell’utilizzare il concetto di nomadismo per una popolazione che sì e no per l’otto percento continua ad avere tradizioni nomadi, c’è il fatto che questi fondi siano stati stanziati nel 2008, tre anni fa, ma fino a ora non mi pare siano stati spesi in nessun modo.
Il ricorso al Consiglio di Stato italiano è stato presentato da una delegazione dell’European Roma Rights Centre Foundation (Errcf). Il problema non è solo italiano, si può parlare di un’ondata di intolleranza in Europa?
Decisamente sì, ed è un segnale estremamente pericoloso. Nel libro ho tenuto a sottolineare che i rom sono una sorta di popolo termometro che segnala gli stati di crisi di una società . Il fatto che in numerosi luoghi d’Europa scoppino focolai di intolleranza, di politiche coercitive e, nel caso dell’Ungheria, di episodi di violenza nei confronti dei rom è un segnale che chiunque abbia a cuore il funzionamento della democrazia in Europa dovrebbe guardare con grandissima attenzione. Bisognerebbe accendere mille riflettori su tutto questo. Quando è successo in passato, ne sono scaturite catastrofi per tutti. Non solo per i rom. Non bisogna mai illudersi che riguardi solo loro. La condizione dei rom è un campanello d’allarme per la condizione dei diritti di tutti. La questione rom, in Italia, non è che una elementare questione di diritti umani.
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