Perché va rispettato il voto dei referendum

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Ma hanno voluto opportunamente ricordare che nessuna emergenza può giustificare l’allontanarsi dalla retta via costituzionale. Sappiamo che sono all’opera gruppi e interessi che spingono nella direzione opposta, invocando il mercato come unica regola, alla quale le istituzioni dovrebbero, una volta di più, piegarsi. Guai se queste suggestioni trovassero eco nel governo. La paventata sospensione della democrazia troverebbe un’inquietante conferma. La volontà  espressa con il referendum, infatti, non è disponibile per nessun governo, politico o tecnico che sia, e per qualsivoglia maggioranza parlamentare, ristretta o allargata che sia.
Torniamo alle radiose giornate di giugno, quando 27 milioni di cittadini (ricordiamo sempre questa cifra) dissero no al nucleare, alla generalizzata privatizzazione di servizi pubblici, alle leggi ad personam. Proprio il risultato di quest’ultimo referendum dovrebbe esser preso terribilmente sul serio da un governo che non può affidare soltanto allo “stile” l’impresa ardua di ricostruire un tessuto civile profondamente lacerato. Con il loro voto i cittadini non hanno semplicemente abrogato una legge. Hanno voluto manifestare in modo netto la loro volontà  di un ritorno pieno alla legalità , senza privilegi per i potenti: ieri Berlusconi e la sua cerchia, oggi gli interessati all’industria nucleare e alla lucrosa gestione privata dell’acqua.
Il rispetto assoluto della legalità  non dovrebbe avere bisogno del severo e corale richiamo venuto dalla maggioranza degli italiani. Ma questo vi è stato.
Ve ne era bisogno, e oggi la legittimazione del governo passa anche attraverso questa ineludibile prova di “serietà ” (altra parola inflazionata in questi giorni) che consiste in primo luogo nel rispetto delle istituzioni. Così come dev’essere rispettato il Parlamento, vi è un pari dovere di fedeltà  verso l’istituto del referendum, con il quale si esercita direttamente la sovranità  popolare.
Archiviamo pure come un incidente di percorso di un ministro frettoloso la dichiarazione secondo la quale potrebbe essere ripreso il tema dell’energia nucleare, che pure è servita a ridare fiato a chi non vuole prendere atto del risultato referendario. Ma è quanto continua ad avvenire, o a non avvenire, intorno alla questione dell’acqua ad inquietare seriamente. Soltanto occasionali e sporadiche sono state le iniziative volte a dare seguito alla chiarissima volontà  popolare. Molteplici, invece, sono state quelle volte ad aggirare o vanificare le indicazioni dei referendum, la cui portata, peraltro, era stata ben chiarita dalla Corte costituzionale. E questo spirito non è scomparso, viste le proposte, talora sgangherate, con le quali si indica la via della privatizzazione dei servizi pubblici, delle dismissioni in blocco di beni pubblici.
Il governo, allora, dovrebbe rivolgere la sua attenzione all’articolo 4 della manovra economica che, come da più parti è stato messo in evidenza, non appare in linea con l’esito referendario; e, comunque, non dovrebbe secondare alcuna mossa che possa essere intesa come sostegno per chi, a livello locale, vuole cancellare o rinviare all’infinito gli effetti del referendum. Proprio qui, infatti, nei Comuni e nei cosiddetti Ato (Ambito territoriale ottimale), devono essere avviate le iniziative per la ripubblicizzazione dell’acqua secondo le indicazioni referendarie. Il punto di partenza può essere individuato nei Comuni dove già  la gestione dell’acqua è affidata a società  per azioni interamente in mano pubblica, che possono essere trasformate in aziende speciali: è già  avvenuto a Napoli, e lo stesso può essere fatto a Torino, Milano, Venezia, Palermo.
Ma i movimenti riuniti ieri a Roma hanno indicato anche una strada che affida alla vitalità  stessa delle iniziative dei cittadini l’attuazione di quanto è stato stabilito con il voto sul secondo quesito referendario che, per quanto riguarda la gestione del servizio idrico, ha abrogato la norma relativa alla remunerazione del capitale nella misura del 7 per cento. Di fronte all’inadempimento dell’obbligo referendario, sarà  lanciata una campagna di “obbedienza civile” per il ricalcolo delle bollette, da pagare senza la remunerazione del capitale. E vi saranno specifiche iniziative giudiziarie.
Questo non è solo un segno della vitalità  del movimento dell’acqua, che si conferma come soggetto politico capace di custodire e attuare la volontà  dei cittadini. Rappresenta un momento importante della battaglia complessiva per il rispetto della legalità  costituzionale.
Si delinea così con nettezza una strategia politica e istituzionale con la quale il governo deve fare i conti.
Può darsi che trovi sostegno debole nella propria maggioranza, dove sono molti quelli che anelano ad una rivincita sul risultato referendario. Ma, legalità  costituzionale a parte, questo sarebbe da parte di tutti un segno di incomprensibile miopia politica, un’occasione ulteriore e grave di separazione tra ceto politico e opinione pubblica. Non si può costruire un continuum governoParlamento che contrapponga una propria maggioranza a quella referendaria. Se ci si vuole liberare dalle tossine e dai ricatti dell’antipolitica, bisogna guardare alla buona politica che in Italia si è manifestata con continuità  fin dai primi mesi del 2010 e che ha prodotto la partecipazione attiva di 7 milioni di persone alle campagne per le elezioni amministrative e referendaria della passata primavera. Il governo non segua i cattivi consigli di chi incita a liberarsi dalla presa del “movimentismo”.
Senza un confronto vitale con la società , il suo respiro sarebbe corto.
Il Parlamento, dal quale si levano voci da vergini violate da parte di chi ne ha segnato l’estrema mortificazione con il voto su Ruby come nipote di Mubarak, vuole ritrovare un suo ruolo? Ha davanti a sé una proposta d’iniziativa popolare per una nuova disciplina dell’acqua firmata da 400mila cittadini. Vi sono due disegni di legge per una nuova classificazione dei beni, con l’introduzione della categoria dei beni comuni, presentati dalla regione Piemonte e dai senatori del Pd. Metta questi testi all’ordine del giorno, ne discuta e il governo, per la parte che gli compete, secondi queste iniziative. E, comunque sia, misuri le sue decisioni con il metro di un’intelligenza politica lungimirante, che non guardi a beni e servizi come ad un’occasione disperata per fare cassa, ma ne consideri il nesso con i diritti fondamentali delle persone, il loro valore “comune” e così consenta pure una loro utilizzazione economica non prigioniera della logica distruttiva del brevissimo periodo.
Una volta di più, i cittadini stanno mostrando intelligenza politica, respiro culturale. Che le istituzioni siano alla loro altezza.


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