WELFARE E CONSENSO COSàŒ HANNO BATTUTO IL RE

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Vincono gli islamisti del Partito della Giustizia e dello Sviluppo. Non governeranno da soli, e ciò costituisce insieme un limite e un alibi per le loro scelte, ma sono comunque i trionfatori delle elezioni. Nella grandi città  come nei villaggi rurali.
Una duplice sconfitta per il re Mohammed VI, che aprendo il sistema politico, non tanto da trasformarlo in monarchia costituzionale ma abbastanza per farne una diarchia dalla doppia investitura, dinastica e popolare, ha cercato di anticipare il vento della primavera araba. Perché la coalizione di ispirazione liberale “G8”, composta da otto partiti di diverso orientamento vicini al monarca, è stata battuta e pare decisa a collocarsi all’opposizione. Perché l’astensionismo è stato alto: più della maggioranza degli elettori non è andata alle urne. Diserzione alla quale ha contribuito, oltre che l’apatia e la sfiducia generale, anche l’appello del movimento “20 febbraio”, composto da forze eterogenee, dall’estrema sinistra agli islamisti “repubblicani” di Giustizia e Carità , che ritengono possibile la democratizzazione solo per effetto della spinta popolare e non per concessione del sovrano. Giustizia e Sviluppo, guidato da Abdelillah Benkirane, era già  il secondo partito in Parlamento. Formazione conservatrice, rigida in materia di costumi – i suoi leader sono sovente accusati di omofobia e di ostilità  alla laicità  – dovrà  fare i conti con le ancora forti prerogative costituzionali di Muhammad VI e il diffuso potere del mahkzen, l’establishment composto da notabili, leader tribali, uomini d’affari, burocrati, militari.
Dunque, come già  in Tunisia, e come probabilmente accadrà  in Egitto, anche in Marocco il successo arride agli islamisti. Consenso che deriva loro dall’essere stati a lungo all’opposizione, dal riferimento a un codice simbolico largamente condiviso, dalla pratica di azione “dal basso” nella società , soprattutto sul terreno del welfare religioso. Un ultimo tentativo di islamizzare la modernità  consentito da quella democrazia sino a poco tempo fa ritenuta inaccettabile perché “colpevole” di mettere sullo stesso piano sovranità  divina e popolare.


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