Tassi record. E Fitch: siete in recessione

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MILANO — La pressione sul debito dell’Italia continua a salire. Pericolosamente. Per la prima volta dalla nascita dell’euro ieri i rendimenti dei titoli di Stato sono schizzati oltre quota 8%. E la tensione ormai non è più circoscritta alle scadenze più lunghe, anche quelle brevi iniziano a scontare i timori per la tenuta del bilancio pubblico. La temuta inversione della curva dei tassi, che tecnicamente segnala una sfiducia crescente nella capacità  di onorare il debito, sembra oramai scontata. Ieri si è visto chiaramente nell’andamento degli spread dei Btp e due e a 10 anni: il primo è volato a 772 punti (8,24% il rendimento) mentre il secondo è tornato sopra quota 500 toccando un massimo durante la giornata di 513 punti (7,35%).
Gli investitori che non vogliono uscire del tutto dall’Italia, insomma, puntano ormai solo sul lungo termine. Tanto che per collocare Bot a sei mesi ieri Via XX Settembre ha dovuto offrire un rendimento del 6,504%, quasi il doppio di un mese fa, quando i Bot annuali avevano spuntato un tasso del 3,53%, mentre per i Ctz a 24 mesi la cedola è stata del 7,81%, dal 4,62% dell’asta di ottobre. Mai così alto negli ultimi 15 anni. Il risultato dell’asta è «orribile» ha commentato un trader citato dal «Financial Times». E poteva andare peggio se non fosse intervenuta la Bce comprando sul mercato per allentare la tensione. Ieri si è saputo che in questi giorni anche la Fed è corsa in soccorso dell’Europa prestando capitali a Francoforte: 552 milioni di dollari nell’ultima settimana.
Il problema è che l’Italia non può sostenere a lungo questi tassi per finanziarsi sui mercati. Prima della crisi un tasso del 6,5% il Tesoro non lo pagava nemmeno a 30 anni. Secondo i calcoli degli analisti il livello dei tassi a breve, se rimanesse così per i prossimi 12 mesi, costerebbe 10 miliardi di euro solo per Bot e Cct. Il presidente della Bundesbank Jens Weidman ha tuttavia ricordato che prima dell’introduzione dell’euro gli interessi erano molto più elevati e ha rassicurato i mercati sull’Italia ritenendo che «possa farcela». «Non dobbiamo comportarci come se un Paese come l’Italia fosse già  fallito». La situazione non sembra però destinata a migliorare nel breve. Ieri l’agenzia Fitch ha suonato un nuovo allarme: «L’Italia è probabilmente già  in recessione». E ha tagliato il rating di 8 banche (Popolare di Sondrio, Credito Emiliano, Bper, Bpm, Credito Valtellinese, Veneto Banca, Popolare di Vicenza e Popolare dell’Etruria e del Lazio) fermando il rimbalzo di Piazza Affari allo 0,12%, ben al di sotto dell’1,19% della Borsa di Francoforte e dell’1,23% di Parigi, che ieri hanno preso fiato dopo i forti ribassi di inizio settimana. A spingere i principali listini europei ha contribuito l’indiscrezione giunta da funzionari della Ue sulla possibilità  che gli investitori privati non vengano più coinvolti nel meccanismo di salvataggio permanente Esm (previsto per il 2013) voluto dalla Germania.
A gettare benzina sul fuoco di un’Europa che sembra sempre più nell’angolo è arrivata anche Standard & Poor’s con il declassamento del Belgio il cui rating è stato portato ad «AA» da «AA+» con outlook negativo. Brutto segnale per il governo di Yves Leterme, «provvisorio» da ormai quasi due anni. In questa situazione inizia a farsi strada l’ipotesi di un nuovo taglio dei tassi da parte della Bce. Il governatore belga Luc Coene, ha ammesso questa possibilità : «Se persistono le attuali tendenze dell’economia si verificherà  probabilmente un altro taglio». È la prima volta, dopo la riduzione all’1,25% decisa a novembre dal presidente dell’Eurotower, Mario Draghi, che un membro della Bce parla apertamente di una riduzione almeno all’1%, che avverrebbe nella prossima riunione del consiglio prevista per l’8 di dicembre. Un taglio potrebbe alleviare i problemi del debito, del finanziamento delle banche e dell’economia. Anche perché, come hanno ribadito ieri sia Coene sia il membro del board José Manuel Gonzalez-Pà ramo, Francoforte non ha intenzione di imbarcarsi in massicci acquisti di bond dei paesi periferici, perché altrimenti «i mercati finanziari perderebbero la fiducia nella Bce».


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