Settemila detenuti: abusi e torture nella nuova Libia

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Sorprende però il numero dei «nuovi» reclusi vittime di ogni genere di ritorsioni: 7 mila in poche settimane, tra cui donne e bambini. Finiti dentro per mano delle milizie ribelli senza un processo, «in assenza di una forza di polizia e di un sistema giudiziario che funzionino», denuncia un rapporto Onu che sarà  presentato lunedì in Consiglio di sicurezza. Il testo documenta una serie di violenze, torture e abusi «degni» del vecchio regime. Con neri immigrati per lavoro dall’Africa subsahariana maltrattati per il colore della pelle e presi per «mercenari» di Gheddafi; donne poste sotto le grinfie di «secondini» maschi; bambini tenuti in cella con gli adulti. Nel mirino dell’Onu ci sono le «brigate rivoluzionarie»: create su base tribale per combattere il regime, esercitano ancora un forte potere nelle loro regioni. Il Cnt ha sì iniziato ad assumerne il controllo ma non è nella posizione migliore per fermare le purghe visto che molti dei suoi membri hanno loro stessi paura di essere accusati di legami con la dittatura.
La caccia ai gheddafiani è spietata: a Sirte, città  natale del raìs, la gente vive nel terrore. Il rapporto Onu cita anche il caso degli abitanti di Tawergha accusati di sostenere Gheddafi durante l’assedio di Misurata: prelevati dalle loro case, alcuni sarebbero stati torturati o giustiziati in cella. Per mano di miliziani spesso accecati dalla vendetta, avendo avuto parenti uccisi sul campo o in prigione.
Ma c’è anche chi ne approfitta per accanirsi contro quanti provengono da città  o clan nemici: in un Paese lacerato da 42 anni di dittatura, l’accusa di legami col vecchio regime può essere usata anche per screditare i rivali.


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