Medvedev sfida gli Stati Uniti “Missili contro lo scudo Nato”

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mosca – La Guerra Fredda resta, forse, un incubo lontano ma i toni tra Mosca e Washington sono cambiati bruscamente dopo mesi di latte e miele tra Medvedev e Obama. E le minacce sono le stesse degli Anni ’60: il Cremlino è pronto a schierare lungo i confini d’Europa il meglio dei suoi missili balistici. Quegli Iskander a traiettoria variabile che hanno già  devastato i gasdotti e georgiani nella guerra del 2008. Le basi sono già  state scelte. Una è a Krasnodar per proteggere il fronte Sud. L’altra, nel territorio ex clave di Kaliningrad, già  Konigsberg, patria di Kant, incuneata tra Germania e Polonia.
L’annuncio è stato dato in tv da un compunto Medvedev. Un discorso breve per dire che Mosca è stanca del tira e molla statunitense sullo scudo missilistico nell’Europa dell’Est. Da mesi chiede una dichiarazione che i missili Usa saranno diretti solo contro l’Iran e non contro la Russia. Ma lo stesso Obama, nel loro ultimo incontro al vertice Apec di Honolulu, ha tergiversato lasciando Medvedev visibilmente inquieto.
L’annuncio era nell’aria da ore e non è un caso che ieri mattina dal fronte Nato fosse arrivata una misura preventiva. Ben 14 paesi dell’Alleanza Atlantica, e tra questi la Germania, hanno comunicato la loro uscita dal trattato Cfe. Sollecitando gli altri 14 membri a fare lo stesso. Il Cfe, firmato nel ’90 con l’allora Patto di Varsavia, prevedeva lo scambio di informazioni strategiche tra i due schieramenti ex nemici. Una pratica, non sempre rispettata dai russi, ma molto utile per monitorarsi e garantirsi da attacchi a sorpresa.
Medvedev non ha mancato d’inserire segnali di «disponibilità  al dialogo» e ha insistito sulla «speranza di collaborazione». Ma la linea scelta è intransigente: «Non vedo volontà  di compromesso. Se un accordo fallisse ci riterremmo liberi di abbandonare il trattato Start e il controllo degli armamenti». La Guerra Fredda, appunto. Gelida la risposta della Casa Bianca: «Il nostro scudo non è contro la Russia: non cambieremo i nostri programmi».
Sembrano dunque svanire in un solo pomeriggio le immagini di Obama e Medvedev che avevano affascinato gli americani e, dicono, ingelosito Vladimir Putin: la scorpacciata di hamburger al fast food vicino alla Casa Bianca; la visita alla Apple di Steve Jobs. Perfino le incaute dichiarazioni pro Medvedev del vicepresidente Usa, Biden, che avrebbe voluto la conferma al Cremlino di «un sincero democratico».
Ma le cose in Russia sono cambiate negli ultimi giorni. Medvedev, in crisi di popolarità , affronterà  il 4 dicembre elezioni politiche decisive per le sue sorti future. Ormai rassegnato a restituire la presidenza a Putin in marzo, ha bisogno di un successo netto del partito di governo per potere almeno ottenere la carica di premier. E, in un clima di rigurgiti nazionalistici e nostalgie dell’impero sovietico, la carta antiamericana ha sempre un ottimo effetto da queste parti. Un segnale era già  partito la settimana scorsa quando una nota giornalista di una tv governativa aveva mostrato il dito medio alle telecamere al momento di nominare Obama. Molte proteste per la sconcezza. Ma anche centinaia di telefonate di solidarietà .


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