Egitto, i militari cedono alla piazza

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IL CAIRO – È una seconda rivoluzione. Accolto come il salvatore del popolo durante la rivolta di gennaio e come garante dello Stato, il maresciallo Mohammed Hussein Tantawi è entrato nel mirino di tutti i partiti politici. Quattro giorni di scontri e battaglie a Piazza Tahrir con quaranta morti, proteste e marce in tutte le principali città  egiziane, hanno convinto l’ultrasettantenne ex ministro di Mubarak a presentarsi ieri sera in tv e annunciare che i militari sono pronti a fare un passo indietro per il bene della (nascente) democrazia, che si voterà  come previsto lunedì prossimo, che le elezioni presidenziali si svolgeranno entro giugno 2012, che la Giunta militare ha accolto le dimissioni del premier Essam Sharaf e accetterà  un nuovo governo di salvezza nazionale. Il nuovo esecutivo sarà  quasi certamente guidato dal premio Nobel ed ex direttore dell’Aiea Mohammed El Baradei, che si candiderà  alle presidenziali. Il suo nome è uscito dopo un incontro ieri pomeriggio fra i capi militari e le diverse forze politiche egiziane, fra cui i Fratelli musulmani, i vincitori annunciati di questa tornata elettorale. Compito del nuovo premier sarà  soprattutto quello di gestire il lungo processo elettorale – si vota per dipartimenti regionali col doppio turno – che si svolgerà  lungo l’arco di quattro mesi. Un periodo che si annuncia già  carico di tensione, per arrivare poi al voto presidenziale.
Sono state le centinaia di migliaia di egiziani che ieri sera erano sulla piazza simbolo del nuovo Egitto a convincere i militari a fare un passo indietro. Ma la folla, i giovani dei movimenti universitari, dei nuovi partiti e gruppi sociali nati dopo la caduta di Mubarak, vogliono che Tantawi vada via subito. Piazza Tahrir resterà  presidiata fintanto che l’anziano generale non si sarà  dimesso. Ci sarà  un sit-in permanente, hanno annunciato i ragazzi del “Movimento 6 aprile” – uno dei protagonisti della rivolta di gennaio – finché che non si dimetterà . La Piazza è da giorni campo di battaglia fra l’opposizione e le truppe anti-sommossa. Da qui la folla vuole raggiungere l’adiacente “cittadella del potere”, specie il ministero dell’Interno su cui si fa ricadere la responsabilità  delle decine di vittime di questi giorni e delle migliaia di feriti.
Ieri sera in tv il maresciallo Tantawi ha smentito che polizia e forze anti-sommossa abbiano fatto uso di armi da fuoco. Ma ieri pomeriggio in Piazza Tahrir il dottor Alaa Mohammed, il medico volontario che “gestisce” l’ospedale da campo all’uscita della stazione della metro, mostrava a noi giornalisti una manciata di bossoli di pistola, cartucce di fucili da caccia, e denunciava che diversi feriti arrivati nel suo improvvisato Pronto soccorso avevano ferite d’arma da fuoco. Nel suo discorso il maresciallo Tantawi ha cercato anche di respingere le accuse di ingerenze dei militari nella vita politica – i tre presidenti egiziani dalla caduta della monarchia nel 1952 sono sempre venuti dalle Forze armate – anche nel “nuovo Egitto”. Il Consiglio supremo delle Forze armate, ha detto Tantawi, è disposto a «cedere i poteri dopo un referendum popolare», un altro tentativo di ritardare il passaggio dei poteri a un governo democraticamente eletto. Le Forze armate in Egitto si sentono al di sopra del sistema politico vendendo all’esterno l’immagine di garanti dello Stato, in realtà  sono una vera casta piena di privilegi e di appannaggi che agli occhi della gente dopo la “rivoluzione di gennaio” appaiono giustamente inaccettabili. Nella “svolta” di Tantawi hanno avuto certamente un ruolo anche le pressioni degli Stati Uniti che hanno promesso di far rispettare gli impegni presi dal vecchio generale: senza l’aiuto finanziario americano l’Egitto fallirebbe domani.


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