Quei 34 minuti in più per arrivare al Sud
ROMA — C’è un numero che da solo dice quanto il Sud sia andato indietro. Il numero è 34: i minuti che oggi impiega in più il treno per coprire la distanza fra Roma e Palermo rispetto al 1975. Trentasei anni fa bastavano (si fa per dire) 10 ore e 26 minuti. Adesso di ore ce ne vogliono almeno 11. Quasi quattro volte più del tempo che ci vuole per andare da Roma a Milano.
Quel numeretto è la sintesi di decenni di illusioni, sprechi, politiche clientelari, incapacità e collusioni di una classe politica decisamente più interessata al proprio profitto che alla soluzione dell’atavico problema di un Paese a due velocità . Un andazzo non certamente migliorato nel nuovo millennio dominato dai governi a trazione leghista, come stanno a dimostrare i dati sconvolgenti contenuti nell’ultimo rapporto sul Mezzogiorno dell’ufficio studi di Confartigianato.
Nel 1998 il Prodotto interno lordo procapite dell’Italia meridionale era superiore dell’88,7% alla media delle 20 regioni europee più povere? Ebbene, oggi quella differenza si è ridotta al 13,8%. Perché mentre il nostro Sud cresceva in dieci anni al ritmo del 29%, nei territori più derelitti del continente il Pil procapite aumentava del 114%. Sempre nel 2008, anno che ha segnato almeno in Europa l’inizio della grande crisi, la ricchezza individualmente prodotta nel Mezzogiorno risultava inferiore a quella di sette regioni spagnole, quattro greche, tre portoghesi, una rumena e una polacca. Al di sotto anche del Pil procapite della Repubblica Slovacca e di Malta.
Durante la recessione, fra il 2008 e il 2011, il Sud ha perduto 329 mila posti di lavoro, più del doppio rispetto ai 158 mila del Centro Nord. Non può dunque meravigliare che la Campania sia fra le 271 Regioni europee quella con il minore tasso di occupazione: lavora appena il 39,9% delle persone di età compresa fra 15 e 64 anni. E subito dopo ci sono Calabria e Sicilia, che precedono nell’ordine, in questa poco edificante graduatoria, l’isola francese di Réunion nell’Oceano indiano, la Puglia e la Guyana.
Per un soffio, poi, la Martinica batte in una seconda deprimente classifica la nostra Calabria. Dove il tasso di occupazione giovanile non supera il 10,7%, contro il 10,6% della piccola colonia francese. In Calabria, insomma, lavora un giovane su nove. E non va particolarmente meglio in Basilicata e Campania, se consideriamo che in queste due Regioni soltanto un giovane su otto è occupato. La Campania è la Regione meridionale dove la situazione è forse più preoccupante. Qui il tasso di attività femminile, che in Italia è fra i più modesti dell’Unione europea, è del 31,1%. Decisamente al di sotto di Sicilia (34,7%), Calabria (35,1%), Puglia (35,3%) e Basilicata (41,8%). Da notare che queste cinque Regioni del Sud Italia sono in Europa quelle con meno donne occupate. La Campania detiene poi un altro poco invidiabile primato: il numero dei maschi inattivi. Persone di età compresa fra 25 e 54 anni non più in età scolare ma non ancora in età per la pensione, che non lavorano. In Italia sono 872 mila: più di un terzo dei quali, 294 mila, nella sola Campania. In tutto il Nord non superano i 326 mila.
Va detto tuttavia che queste cifre non tengono conto di un sommerso doppio rispetto al Centro Nord. La quota di lavoro irregolare al Sud è al 18,9 contro il 9,7% della media nazionale. Secondo le stime il numero di lavoratori in nero (o in grigio) supererebbe perfino quello dei dipendenti pubblici: un milione 241 mila contro un milione 163 mila. Il settore pubblico nel Mezzogiorno assorbe il 23,9% degli occupati, contro il 16,1% del resto d’Italia.
A una inattività soltanto ufficialmente vertiginosa è associato un livello di assistenzialismo crescente, che certo non si può definire fisiologico. Le pensioni di invalidità , che nel 2003 erano 796.103, hanno raggiunto alla fine del 2010 un milione 199.593: ce ne sono 5,8 per ogni cento abitanti. Il loro numero, sottolinea il rapporto della Confartigianato, è addirittura superiore a quello «degli imprenditori e lavoratori in proprio, pari a un milione 192.000».
Una presenza pubblica tanto pesante e invasiva non produce però servizi migliori e più efficienti. Ne sanno qualcosa le imprese, che devono sopportare costi burocratici enormi (il tempo medio per avviare un’attività qui è più lungo di un terzo) e ritardi astronomici nei pagamenti: le aziende sanitarie meridionali onorano i propri impegni mediamente in 425 giorni, a fronte di 193 giorni nel Centro Nord. In Calabria si arriva a 809 giorni. Nel Mezzogiorno l’indice della «qualità della vita dell’impresa» elaborato dalla Confartigianato sulla base di 42 parametri che vanno dal mercato del lavoro ai servizi pubblici locali mostra condizioni decisamente peggiori. La maglia nera spetta alla provincia di Crotone, ma nelle ultime dieci posizioni di questa particolare lista troviamo altre dieci province del Sud: Catanzaro, Taranto, Benevento, Catania, Carbonia Iglesias, Cosenza, Napoli, Vibo Valentia e Caserta.
Ma ne sanno qualcosa, dello stato dei servizi pubblici, anche i cittadini. Come dimostra un lunghissimo elenco di indicatori contenuto nello studio della Confartigianato. Al Sud i pensionati costretti a lunghe code alla posta per ritirare ogni mese i loro soldi sono il 68,2%, contro il 39,1% nel Centro Nord. I cittadini in coda alle Asl sono invece il 58%, a fronte del 42,3%. Le interruzioni di elettricità senza preavviso sono più del doppio che nel resto d’Italia. Le irregolarità nella distribuzione dell’acqua, il triplo. La raccolta differenziata dei rifiuti solidi urbani è al 19,1%, meno della metà del Centro Nord, dove tocca il 40,4%, e con tariffe più alte del 20%. Gli studenti quindicenni «con elevate competenze in lettura» sono il 17,5%, rispetto al 31,9% rilevato nelle altre Regioni. Il tasso di abbandono degli studi universitari raggiunge il 22,3%, 6,1 punti in più. Il cosiddetto «indice di attrattività » dell’università , del resto, è fortemente negativo: -21,1%. I bambini che hanno accesso ai servizi per l’infanzia sono il 4,8%, contro il 16,8% nel Centro Nord. Una causa di lavoro dura in media 1.031 giorni per il solo primo grado di giudizio, a fronte di 521 giorni nella parte rimanente del Paese. I contenziosi civili sono 1.279 ogni 100 mila abitanti, il triplo rispetto al Centro Nord: il record ce l’ha il giudice di pace della Campania, che deve far fronte a 80,9 ricorsi per ogni 1000 abitanti, tre volte in più del dato nazionale. Per non parlare dello stato delle infrastrutture. La dotazione del Mezzogiorno è l’80% di quella media italiana, già decisamente carente.
Logica ma triste conseguenza di questa situazione è che la gente se ne vada via. Se dal 2000 al 2010 la popolazione del Mezzogiorno è aumentata di 285 mila unità , le proiezioni demografiche dicono che entro il 2030 il Sud perderà 956 mila residenti, con una flessione del 4,6% che riporterà il numero degli abitanti al di sotto della fatidica soglia dei 20 milioni.
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