E Gingrich demolisce il welfare Ue

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CAMBRIDGE (Massachusetts). Disprezza le élite, soprattutto quelle liberal, ma sceglie Harvard per l’unico evento in programma in Massachusetts. Newt Gingrich, ex speaker del Congresso candidato alle primarie repubblicane, venerdì ha fatto tappa alla Kennedy School of Government – fucina di ministri, ambasciatori, politici, capi di gabinetto e professori universitari – per presentare «A City Upon a Hill», una docufiction sull’eccezionalismo americano ideata con la moglie Callista. Evento rigorosamente a porte chiuse, visto che ai comuni mortali sprovvisti di tesserino di Harvard o accredito stampa ha dato appuntamento un paio d’ore dopo in una libreria vicina, ma solo per firmare copie della sua ultima fatica, «A Nation Like No Other» – tema ancora una volta la peculiarità  dell’esperienza americana.
Nonostante un sondaggio del New Hampshire Journal questa settimana lo dia, con il 27% dei consensi, a soli due punti di distanza dal grande favorito Mitt Romney nelle consultazioni del New Hampshire, Gingrich ora deve vedersela con il suo ingombrante passato di consulente di lusso per diversi colossi del business. Il primo compenso a destare clamore – una cifra compresa tra 1,6 e 1,8 milioni di dollari – è stato quello versato dal gigante dei mutui Freddie Mac alla sua società , la Gingrich Group, per dei servizi di consulenza strategica che lui nega abbiano nulla a che fare con il lobbying. Sotto la luce dei riflettori ora c’è anche il Center for Health Transformation, un think tank di politica sanitaria fondato dall’ex speaker che secondo il Washington Post avrebbe ricevuto 37 milioni di dollari da aziende del settore.
«Grazie di stare dalla parte delle imprese, Newt», lo hanno apostrofato poco dopo l’inizio dell’evento un paio di indignati di Occupy Harvard seduti tra il pubblico e subito scortati all’uscita dalla polizia. Ma gli slogan del movimento Occupy non suscitano neppure troppa irritazione in Gingrich. La sua vocazione è un’altra: una «battaglia culturale», per difendere le fondamenta della società  americana – meritocrazia, individualismo, forza, libertà  e moralità  – da coloro che ne mettono in dubbio l’unicità . A partire da Obama. «Credo che siamo una nazione eccezionale», dice, assicurando che la sua non è arroganza: «Non vuol dire che siamo migliori degli altri». Sarà . Eppure attacca a più riprese gli europei, soggiogati, dice, da oligarchi con il pallino della burocrazia e dello stato sociale. La docufiction, che ripercorre la storia americana dalle colonie puritane ad oggi, si muove sugli stessi binari: gli Stati Uniti hanno avuto successo perché, al contrario dell’Europa interventista, hanno sempre dato ai propri cittadini la possibilità  di mettersi alla prova, spingendoli a dare il meglio di sé. E niente, dalla vittoria nella Seconda Guerra Mondiale all’invenzione dell’iphone, è successo per caso. Su questo concordano tutti gli esperti, testimoni e opinionisti intervistati: da Michele Bachmann, anche lei candidata alle primarie, a Donald Trump fino a Marcello Pera, che giura che non sarebbe mai diventato l’uomo che è oggi senza le rimesse degli zii emigrati in America.
Ma allora perché ci sono tanti poveri di questi tempi? Per Gingrich è tutta colpa di sindacati e burocrati, e per risollevare il paese dice di avere in serbo «proposte radicali». Una di queste è far lavorare come bidelli i bambini che abitano nei quartieri poveri, perché «tutte le persone di successo hanno imparato a far soldi fin da piccole».


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