Una sfida per la sinistra
Certo, lo stile è ben altro e lo stile conta, non è solo forma: è sobrietà , la scelta del tono giusto, il senso della responsabilità che una carica pubblica comporta. Questa nuova immagine dell’Italia ci risolleva e riscatta a livello internazionale.
Quanti italiani, recandosi all’estero, si sono vergognati in questi anni di fronte alla domanda: ma come fate a tenervi ancora Berlusconi? non siete il paese della cultura e dell’arte? Come vi siete ridotti! Il presidente barzelletta, il presidente “orco” che organizza le orge, il presidente amico di Gheddafi e Putin, il presidente che tiene insieme una colazione di interessi criminali e sentimenti razzisti non c’è più. E questa è una liberazione. Ed è proprio questo il sentimento che accumuna una gran parte degli italiani in questo momento. Qualcuno però ammette: se non interveniva la Bce, il Fmi, il Vaticano, ecc. noi italiani non saremmo stati capaci da soli di mandarlo a casa, in galera o in una delle sue ville. D’altra parte, anche Mussolini ce lo saremmo tenuti – come Franco in Spagna – se l’Italia non fosse entrata in guerra e gli anglo-americani non ci avessero “liberato” dal nazifascismo bombardando pesantemente le nostre città .
Pertanto siamo contenti, ma siamo anche preoccupati, tanto da non goderci fino in fondo questo momento, questa fase della nostra storia che alcuni hanno già definito – esagerando – come “nascita della Terza Repubblica”. Non eravamo in pochi a sperare che la crisi finanziaria ed economica ci avrebbe portato a nuove elezioni nella prossima primavera, con la possibilità di scegliere uomini/donne e programmi alternativi. Le vittorie alle amministrative con inedite aggregazioni a sinistra, il grande successo dei referendum, ci avevano convinto che si stava aprendo una nuova fase politica in questo paese che ripensasse il modello di sviluppo, ponesse un limite alla mercificazione globale – estensione dei beni comuni – promuovesse una distribuzione più equa di reddito e lavori, valorizzasse la cultura e la ricerca finalizzate ad una conversione ecologica del nostro modo di vivere e lavorare. Questo popolo dell’alternativa è oggi in stand by. Sa che non esiste un governo tecnico, sa che questo governo ha una prevalente matrice liberista che è stata la medicina che ci ha portato al disastro. Sa che per uscire veramente da questa crisi non bastano tecnocrati amati a Bruxelles, ma un cambio radicale di politiche che disarmi la finanza, che ponga fine alla “guerra all’euro”, che riduca il debito ecologico. Sa tutto questo, ma non può farci niente, almeno per il momento. Cerca di capire con quali provvedimenti il governo tecnico ci vuole fare uscire dalla crisi, come e se colpirà le grandi ricchezze e quanti sacrifici chiederà alla maggioranza dei lavoratori, pensionati, precari, ecc.
Ma tutte le forze sociali e politiche che puntano ad un’alternativa di sistema non possono restare a bagnomaria per un anno e mezzo, sarebbe un suicidio politico. Né possono accontentarsi di qualche manifestazione contro questo governo (per altro impopolare, almeno per qualche mese), ma devono lavorare a costruire concretamente, con programmi, persone e pratiche sociali un’alternativa che risponda alla gravità della crisi che attraversa l’Europa e l’Occidente, che non è solo economico-finanziaria, ma è una vera e propria crisi delle istituzioni democratiche. Altrimenti saremmo vittime dei paradigmi bocconiani e finiremo anche noi per essere fatti “a Bocconi” dai sacerdoti del libero mercato, delle privatizzazioni, del dio denaro.
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