RIFORMA GELMINI Il neopremier ha fretta

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ROMA. Mario Monti è convinto che la riforma Gelmini dell’università  vada bene così com’è e i suoi decreti attuativi siano pronti per ripartire dai box delle commissioni parlamentari. È il primo abbaglio del governo dei professori (8 su 17) che ha commissariato il parlamento, facendosi interprete della «dittatura commissaria» europea in virtù della «reggenza» esercitata dal Presidente della Repubblica Napolitano.
Contrariamente a quanto ieri Monti ha dato per certo al Senato, nulla in realtà  è meno certo dei tempi di attuazione di una «riforma» che prevede 47 decreti legislativi. I decreti fino ad oggi pubblicati sulla Gazzetta ufficiale sono 17 e disciplinano gli aspetti più eterogenei, dai posti disponibili per le iscrizioni a Medicina agli stipendi dei direttori generali, dall’importo minimo degli assegni di ricerca alle università  telematiche finanziabili nel 2011 (per una panoramica rimandiamo al sito del Centro per la Riforma dello Stato). Ne mancano all’appello ancora 30, alcuni dei quali riguardano aspetti determinanti della legge, come la valutazione della qualità  della ricerca condotta dall’Anvur sulla quale Monti confida per favorire «meccanismi d’incentivazione» per gli atenei, oltre «il sistema di selezione, allocazione e valorizzazione degli insegnanti». Questo decreto sarà  presto operativo e il suo prodotto finale sarà  la creazione di una classifica delle università  e degli enti di ricerca «virtuosi», essenziale per erogare la quota di finanziamento premiale del 10% del Fondo per gli atenei tagliato del 10% dal 2001 a oggi, complici anche Tremonti e Gelmini: l’Ffo è passato da 7,4 a 6,1 miliardi di euro all’anno. In questa classifica, l’ateneo italiano più «virtuoso», il Politecnico di Torino già  diretto dall’attuale ministro dell’università  Francesco Profumo, farebbe la parte del leone.
La pubblicazione dei decreti non esaurisce affatto l’iter normativo previsto. Per essere vigente, un decreto ha bisogno di uno schema di regolamento che deve essere registrato dalla Corte dei conti. Una volta pubblicato in Gazzetta lo schema in questione, si prevede che ogni ateneo emani un regolamento. Se, invece, prendiamo un altro aspetto della legge che Monti pensa sia quasi operativa, l’approvazione dei nuovi statuti degli atenei, le promesse sono ancora più aleatorie. Fino ad pggo sono stati approvati 9 statuti su 95, due nelle università  statali (Catanzaro e Ca’ Foscari di Venezia), mentre le altre 7 sono private. C’è la Luiss, ma non la Bocconi di Monti, né la Cattolica di Milano del ministro della cultura Ornaghi. Non c’è dubbio che, considerati gli incarichi che si trovano a ricoprire, gli ex rettori rimedieranno presto ai ritardi accumulati obbligando i loro ex colleghi a procedere a tappe forzate. Ma questa cura da cavallo potrebbe non bastare per alleviare la paralisi che ha colpito l’intera università  e rischia di durare anni. Il governo Monti dovrà  infatti domare la buliminia normativa prodotta da una legge che contiene 171 norme le quali, come nel gioco delle scatole cinesi, ne produrranno altre 500 e comporteranno l’approvazione di un migliaio di regolamenti. Questo mostro giuridico potrebbe essere abbattuto se, dopo la «dittatura commissaria», il governo Monti adottasse uno stato di eccezione amministrativo. Ciò permetterebbe di procedere per le spicce, considerando l’importanza attribuita da Monti all’istruzione e all’università , fondamentali per «la valorizzazione del capitale umano». Ammesso che esista, questa misura permetterebbe di mettere all’angolo Pd e Idv, costringendoli a votare i decreti di una legge che hanno promesso di riscrivere una volta tornati al governo. L’appoggio del centro-sinistra al governo dei rettori rischia di sbugiardare l’impegno preso da Bersani sul tetto occupato dai ricercatori. Nel frattempo, il neo-ministro Profumo ha ribadito che incontrerà  studenti e ricercatori, ma non ha ancora spiegato dove reperirà  le risorse chieste anche dai rettori della Crui. Nell’eccezionalità  di questo momento, forse adottando strumenti d’emergenza, dovrà  rifinanziare, ad esempio, il fondo per il diritto allo studio che nel 2011 è di 98 milioni di euro, mentre in Germania ammonta addirittura a 1,4 miliardi. Riuscirà  Monti a parametrare almeno questo «indicatore» sul livello europeo?


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