Ma i democratici sono già  divisi su pensioni e mercato del lavoro

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ROMA – La Cgil ago della bilancia. La posizione che Corso d’Italia assumerà  sul nascituro governo Monti peserà  eccome sul Partito democratico, sui suoi equilibri interni e sulle sue alleanze future. Questa è una partita inedita per Susanna Camusso e per Pier Luigi Bersani. Un crocevia decisivo. Perché i «sacrifici» richiamati già  ieri dal presidente del Consiglio incaricato si possono tradurre, più semplicemente, in interventi sulle pensioni e sul lavoro per quanto temperati da un’eventuale patrimoniale in versione soft.
Il Pd potrà  votare misure severe di un governo tecnico, sostenuto anche dal centro destra, con la Cgil in piazza a protestare? Un dilemma. O addirittura il dilemma di queste ore per la sinistra laburista italiana. Si confida nella tradizionale lentezza di maturazione della confederazione rossa e sulla cautela che ha già  mostrato Monti. Ma le incognite restano tutte. Non è lo scenario dei primi anni Novanta con i partiti in ritirata per via di Tangentopoli e le forze sociali costrette ad assumere un ruolo di supplenza attraverso la concertazione. Oggi c’è il bipolarismo e ci sono i partiti, ciascuno pronto a giocarsi le sue carte in vista delle prossime elezioni.
Ieri la Camusso ha riunito fino a sera la segreteria confederale per prepararsi all’incontro di oggi a Palazzo Giustiniani. La Cgil è stata l’unica organizzazione di interessi a non aver sottoscritto la scorsa settimana l’ultimo appello a favore di un governo Monti in tempi rapidi. Uno sganciamento che ha lasciato perplessi i piddini. Emma Marcegaglia, presidente della Confindustria, aveva personalmente telefonato alla Camusso per convincerla. «No, noi non firmiamo», è stata la risposta. D’altra parte all’inizio di questa crisi politica, Camusso ha sposato l’idea delle elezioni subito, per poi ripiegare sull’opzione del governo di emergenza. In ogni caso non aveva e non ha alcuna intenzione di schierarsi a sostegno di un esecutivo che dovrà  ridurre in tempi rapidi la spesa corrente i cui capitoli sono sanità , pubblico impiego e previdenza. E, infatti, il leader della Cgil anche ieri ha ribadito la linea: «Non si fa cassa con le pensioni». Altro discorso – ha aggiunto – è parlare delle future pensioni dei giovani. Su questo concorda la maggioranza del Pd. Dice Cesare Damiano, ex ministro del Lavoro, esponente di AreaDem, la componente di Dario Franceschini, ma soprattutto uomo di cerniera con la Cgil: «Le pensioni non debbono di nuovo essere toccate. Mi piacerebbe che si contassero i miliardi che si sono risparmiati con gli ultimi interventi sulle pensioni e se ne cercassero altrettanti dai grandi patrimoni, dalle rendite e dagli speculatori. Vorrei proprio vedere se si vuole obbligare chi è entrato in fabbrica a quindici anni a rimanerci per 45 e passa anni». Barricate, dunque. Al pari di quelle della Cgil. O di quelle innalzate sull’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, un altro campo socialmente sensibile, dal giovane membro della segreteria bersaniana Matteo Orfini: «Nominare Ichino ministro sarebbe, per il Pd, una vera e propria provocazione». Parole molto gradite alla Cgil ma che hanno indignato i veltroniani. Ancora ieri il liberal Enrico Morando: «Parole veramente tristi. Questo governo può essere un’occasione formidabile per affrontare i temi del mercato del lavoro senza pregiudizi. È finita la stagione della nostra subalternità  nei confronti della Cgil». Ma se saltasse il patto di non belligeranza Bersani-Camusso cambierebbe la geografia del Pd. E Vendola e Casini sono gli spettatori più interessati.


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