“Si tolga il velo o esca dal tribunale” il giudice contro l’interprete araba
TORINO – È andata via dall’aula perché non ha accettato di togliersi il velo. È accaduto al tribunale di Torino, dove un giudice ha invitato un’interprete di fede musulmana a levare il foulard perché in contrasto con la legge che prevede che si assista alle udienze «a capo scoperto». La donna, pur di non venire meno alle proprie convinzioni religiose, ha preferito allontanarsi.
La vicenda risale al 14 ottobre. Nell’aula 45 sta per iniziare un’udienza davanti alla prima sezione penale. La corte è presieduta da Giuseppe Casalbore, che è anche a capo anche di quella sezione, nonché presidente nel maxiprocesso Eternit. C’è una divergenza tra le parti riguardo a una traduzione e il pm Andrea Bascheri incarica un’interprete dall’arabo di dirimere la controversia. In aula si presenta Fatima M. È poco più che una ragazza, ha i capelli raccolti sotto un velo che le lascia completamente scoperto il volto. Lavora da qualche mese al palazzo di giustizia come fonica incaricata delle registrazioni delle udienze, ma non si sottrae a qualche traduzione per arrotondare il compenso di poche centinaia di euro al mese che le garantisce quella collaborazione precaria.
Ancora prima che l’udienza avesse inizio, però, il giudice la invita pubblicamente a scoprirsi perché il suo comportamento sarebbe in contrasto con la legge. Tuttavia lei preferisce lasciare l’aula e lasciare l’incarico. «Per tutti gli altri giudici questo non è un problema», si è sfogata con i colleghi.
Di per sé il processo è poca cosa: una tentata estorsione di 250 euro tra due soci magrebini. Ma potrebbe diventare un caso da manuale. Episodi come quello di Torino sono rari, quasi unici. Era accaduto a marzo al tribunale di Mantova: un’avvocatessa leghista aveva chiesto l’allontanamento di una donna velata in nome della legge antiterrorismo. Ed era accaduto nel 2006 a Londra, dove era un’avvocatessa a indossare il niquab. Il giudice le chiese di levarlo perché gli impediva di capire quel che diceva e al suo rifiuto sospese l’udienza. Ma in entrambe le circostanze il velo era integrale e copriva anche il volto, oltre i capelli.
«Non è una questione di integrazione – afferma il Giuseppe Casalbore – Ho applicato la legge, che per le udienze pubbliche prevede che si stia in aula a capo scoperto. La legge è uguale per tutti». L’obbligo di legge di assistere «a capo scoperto» deriverebbe dall’articolo 129 del codice di procedura civile, dopo l’abrogazione dell’articolo 434 del codice di procedura penale. E comunque «il rispetto dell’obbligo di assistere all’udienza a capo scoperto non è mai stato totale – è il parere del presidente del tribunale di Torino, Luciano Panzani – Nessun magistrato ha mai chiesto ad una suora di togliersi il velo o a un ebreo ortodosso la kippah e nemmeno è mai stato chiesto di scoprire il capo a una persona sottoposta a chemioterapia che abbia perso i capelli. La norma impone il capo scoperto soltanto per sottolineare il dovere di assistere all’udienza con rispetto, non per altri fini». Il presidente del tribunale torinese sull’argomento ha posto anche un quesito al Consiglio superiore della magistratura «data la difficoltà e delicatezza della materia, perché precisi a quali regole debba attenersi il magistrato che dirige l’udienza, sia civile che penale, onde poter fornire ai giudici del Tribunale indicazioni per una condotta uniforme e rispettosa dei diritti individuali della persona».
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