Unicredit pronto al maxiaumento
MILANO — Unicredit chiama a raccolta i soci per rafforzare l’istituto. Dopo settimane di studio, confronti con gli azionisti e verifiche sul sentiment dei mercati, grazie anche a una presumibile stabilizzazione della situazione economica con il cambio di governo a Palazzo Chigi, ieri Unicredit ha deciso di portare al consiglio d’amministrazione di oggi alle 9 la proposta di aumento di capitale da 7,5 miliardi, oltre all’approvazione del piano industriale e ai conti del terzo trimestre, attesi in forte calo per le svalutazioni a circa 6 milioni di euro di utile.
La decisione di procedere con la ricapitalizzazione — necessaria per adeguarsi alle richieste dei regolatori europei e del Financial stability board nonché per dotare l’istituto di un cuscinetto ulteriore di patrimonio, sembra fino a circa il 10% di core tier 1 secondo le regole di Basilea 3 — è stata assunta dall’amministratore delegato Federico Ghizzoni dopo un comitato strategico durato oltre cinque ore, nel quale sono stati illustrati i meccanismi dell’aumento e i punti salienti del piano industriale. La ricapitalizzazione, se sarà approvata oggi dai 23 componenti del board, avverrà tutta in contanti, senza dunque utilizzare il dividendo e senza il ricorso a strumenti ibridi come i bond Cashes adottati nel 2009 per il rafforzamento patrimoniale da 3 miliardi, visto che la Banca d’Italia alla fine li ha considerati capitale solo per 2,4 miliardi.
Circa i tempi, l’operazione dovrebbe partire a gennaio dopo l’assemblea straordinaria di metà dicembre e l’ok della Consob al prospetto. L’incognita della estrema volatilità del titolo Unicredit (a causa anche delle tensioni sul debito sovrano italiano) aveva fatto mantenere fino all’ultimo cauta la banca circa il lancio dell’aumento contestualmente al piano. Fonti vicine a Piazza Cordusio non mancavano nei giorni scorsi di sottolineare come ogni decisione fosse strettamente legata all’andamento del mercato. Oggi si vedrà come Piazza Affari accoglierà la decisione dell’istituto, anche se secondo diversi analisti l’aumento è in parte già scontato nei prezzi (venerdì Unicredit ha chiuso a 0,82 euro). Ad ogni modo l’aumento potrà essere rinviato in caso di condizioni sfavorevoli a inizio anno. L’impegno delle banche del consorzio di garanzia coordinato da BofA-Merrill Lynch e Mediobanca non a caso è stato assunto fino ad aprile.
Il percorso è comunque ancora accidentato: bisognerà intanto vedere se tutte le fondazioni seguiranno l’aumento, visti i maldipancia di quelle minori come la Cassamarca o la Manodori, e poi come si sistemerà la questione del 7,5% in mano alla Libia, essendo i capitali di Tripoli ancora congelati, anche se la volontà dovrebbe essere di non diluirsi. A seconda di come terminerà la ricapitalizzazione, potrebbero anche esserci sorprese con l’ingresso di altri soci pesanti dall’estero, come quelli ipotizzati dei fondi sovrani del Qatar, Qia, e della Cina, Cic. I nuovi equilibri che si determineranno saranno fondamentali in vista per l’altra grande partita che si aprirà dopo, quella per il rinnovo del consiglio d’amministrazione all’assemblea di inizio maggio. Una partita nella quale i soci esteri e i fondi internazionali, potrebbero pesare di più degli italiani nelle scelte degli amministratori.
L’altro tema caldo sarà il piano industriale, che fra l’altro dovrebbe prevedere circa 5 mila esuberi, in prevalenza in Italia. Un dimagrimento necessario per contenere i costi, visto che i 160 mila dipendenti pesano per circa due terzi delle spese dell’intero gruppo, ma che dovrebbe essere effettuato attraverso «uscite programmate e concordate con i sindacati, e non con licenziamenti», ha spiegato ieri il country manager per l’Italia, Gabriele Piccini. Il piano dovrebbe puntare su una maggiore semplificazione organizzativa e sul ridimensionamento di alcune attività , come l’equity research sull’Europa occidentale, che potrebbe essere ceduto.
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