Il Pdl tenta di mettere i paletti “Programma Ue e solo tecnici”

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ROMA – «Dobbiamo dare il via libera al governo Monti, gli diamo un anno di tempo per attuare le misure della lettera alla Ue, dopo di che state tranquilli che stacchiamo la spina quando vogliamo». Le ultime sacche di resistenza Silvio Berlusconi le aggira provando a infondere coraggio allo stato maggiore del Pdl riunito al gran completo a Palazzo Grazioli. Sono passate da poco le 20 e il premier uscente sta salendo al Colle per rassegnare le dimissioni. Non prima di aver imposto ai suoi, con amarezza («Il rischio default ce lo impone»), il disco verde. Ma è vincolato da uno stuolo di condizioni. La più pesante – e difficile da far recepire al Quirinale e allo stesso Monti – l’incarico a tempo.
Per il Cavaliere è inevitabile per contenere la fronda dei ministri uscenti ex An, riuniti da La Russa con una trentina di deputati nel pomeriggio. E poi di Sacconi, di Brunetta. Una resa obbligata che alla fine non basterà  a piegare le resistenze degli oltranzisti Gianfranco Rotondi e di Antonio Martino: «Noi non lo votiamo comunque». Franco Frattini al vertice non si è nemmeno presentato, reduce dallo scontro del giorno primo a suon di «fascisti» con i colleghi di destra. Silvio Berlusconi arriva a Palazzo Grazioli dopo le 19 sommerso dalle contestazioni. Agli ormai ex ministri e dirigenti Pdl appare provato, cupo: «Queste contestazioni sono qualcosa che mi amareggia profondamente» confessa. È reduce dal pranzo di due ore con il premier in pectore Mario Monti, per lui piuttosto magro di risultati. «Avrei voluto Gianni Letta vicepremier, ma la sinistra non vuole» racconta. Si fa forte però di aver dettato alcune condizioni: governo a tempo, per affrontare le emergenze finanziarie e tornare subito al voto. Un «governo di soli tecnici» che nei suoi piani dovrebbe anche consentire di salvaguardare il rapporto con la Lega. È stato vano il tentativo estremo di convincere Bossi, incontrato subito dopo l’aula. Altra condizione di cui parla il Cavaliere ai dirigenti – ma di cui non si ha traccia dai resoconti del pranzo – è che Monti non si ricandidi quando si tornerà  alle urne. Ma il Pdl, come si legge nel documento redatto dal segretario Alfano, si riserva di confrontarsi col futuro premier sulla «composizione delll’esecutivo», sul «programma proposto», oltre che sui «tempi del mandato». Poi l’ufficio di presidenza sarà  riconvocato. Berlusconi cede il testimone, ma vuole dettare ancora le regole del gioco.
Sono ore di altissima tensione, non tutti la reggono. Raccontano di un pianto sconfortato della Gelmini a margine del Consiglio dei ministri, come di un momento di scoramento e lacrime a porte chiuse, subito dopo il voto in aula, anche per il sottosegretario Santanché. Molte deputate berlusconiane si presentano a Montcitorio vestite di nero. A Palazzo Grazioli in serata Gianni Letta non va. «Faccio un passo indietro, non voglio costituire un problema» scrive al capo dello Stato. Ma già  lasciando Palazzo Chigi si era congedato dai collaboratori: «Ho fatto il mio percorso, in questi anni ho servito il Paese, ora tocca ai giovani, con questa esperienza ho concluso».


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