«Poche cose, poco tempo» Quelli di Vasto restano uniti

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Mario Monti è una «persona rispettabile» e quindi un governo presieduto dall’ex membro della Commissione europea potrebbe andar bene, purché «a tempo»: quello di approvare una «patrimoniale pesante» prima di ridare la parola agli elettori. E su un’altra cosa Nichi Vendola mette i paletti: «Non voglio nemmeno immaginare un esecutivo tecnico sostenuto da Pd e Terzo polo, con l’astensione del Pdl, che permetterebbe alla destra di rifarsi una verginità  e alla sinistra di suicidarsi».
Il leader di Sinistra ecologia e libertà  (Sel) – impegnato a Pechino fino a domani per promuovere gli scambi tra studenti cinesi e pugliesi (a Bari sarà  aperto un Istituto Confucio) e le imprese della green economy della sua regione – cerca di tenersi in equilibrio tra la necessità  di rimanere ancorato alla coalizione di centrosinistra e quella di non avallare misure impopolari.
Bersani dice di sì a Monti, Di Pietro avverte contro l’esecutivo della «macelleria sociale» e Vendola attende? Tre posizioni diverse – ma nel pomeriggio l’ex pm ‘apre’ al governo di transizione – che per il presidente della Puglia non anticipano la fine del «Nuovo ulivo», di quell’«alleanza di Vasto» siglata soltanto il 16 settembre scorso. «Governo di emergenza; periodo limitato; equità  sociale; discontinuità ». Vendola isola questi slogan dal discorso del segretario del Pd e dice di essere d’accordo con Bersani.
Incontrando i giornalisti nella residenza dell’ambasciatore Attilio Massimo Iannucci, Vendola insiste per «un governo di scopo che ci porti alle elezioni in primavera e nelle prossime settimane vari una patrimoniale pesante e tagli le spese militari».
Come insegna il commissariamento della Grecia, le misure di austerità  richieste dalla Bce pretendono tagli alla spesa pubblica, aumento delle tasse, liberalizzazioni e dismissioni. Per Vendola «gli squali che ci hanno portato a questa crisi la vogliono risolvere bancarizzando la politica, ma non si può chiedere alla democrazia di chiudersi in una cantina, perché i banchieri non sono stati eletti da nessuno».
Il presidente parla del capo dello Stato come di «un faro nella buia notte italiana che ha tenuto in piedi con pazienza e costanza il dialogo tra le forze politiche». Ma non si può chiedere a Napolitano di decidere l’agenda politica, che spetta ai partiti. E allora si aprono due possibilità : se c’è la forza di mettere insieme un governo che compie «due o tre atti di equità  sociale», si va a votare in primavera. Altrimenti a gennaio, perché «la crisi economica è anche figlia di quella politica, a quest’ultima si risponde con la democrazia e votare è l’esercizio della democrazia».
Votare ora è impossibile, la speculazione affosserebbe l’Italia? «Un anno fa ci avevano detto che non si poteva andare a votare a causa della crisi economica e abbiamo subito un altro anno di Berlusconi. Ora due mesi di campagna elettorale – si potrebbe votare il 22 gennaio – sembrano una sciagura».
«L’Europa sta decidendo di uscire da se stessa, di congedarsi dalla stagione del welfare – conclude -. Obama immaginava di poter timidamente entrare nell’epoca del welfare, il Brasile sta costruendo la sua formidabile ascesa economica investendo nel welfare, la Cina è ormai consapevole che il welfare è necessario, perché non si possono non affrontare le contraddizioni sociali molto evidenti che esistono anche qui. L’Europa, che era invidiata per il suo sistema di welfare ricco e sofisticato, rischia di distruggerlo nel nome del superamento della crisi».


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E dai Radicali memorandum sui temi etici (La Repubblica, VENERDÌ, 12 GENNAIO 2007, Pagina 13 – Interni)

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