Il Cavaliere stretto in una tenaglia Sul tavolo i nomi di Alfano e Dini

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ROMA — Ha un problema enorme con la Lega, che promette di voltargli le spalle, a lui e al suo partito, per gli anni a venire. Glielo ha detto Bossi, glielo ha giurato Maroni, così come Calderoli. Sono andati a palazzo Grazioli per rimarcare che tre lustri di sodalizio politico sono finiti, con conseguenze devastanti per le giunte regionali e soprattutto per il futuro delle alleanze nel centrodestra: al netto di Bossi, al Nord, il Pdl rischia una débà¢cle, dunque le orecchie del Cavaliere sono state più che attente.
Ma se accettasse Monti, alle condizioni che si profilano, lista dei ministri già  pronta, incertezza sulla durata complessiva del nuovo esecutivo, Berlusconi teme un problema altrettanto grave nel suo di partito, con una mezza dozzina di ministri e alcune decine o centinaia di parlamentari che pongono condizioni, che cercano garanzie, che «mi dicono che non voteranno mai una patrimoniale», che «mi stanno facendo la guerra» sul presupposto che esiste una soluzione alternativa alla candidatura dell’ex commissario europeo.
L’alternativa, in teoria, esiste e lo stesso Cavaliere ne parla, ne ha parlato, ne parlerà  forse al Colle: Lamberto Dini, che il premier giudica «una personalità  di eccellenza, con un indiscusso prestigio internazionale, capace di rassicurare i mercati». A palazzo Grazioli, dove per tutto il giorno si svolgono vertici, si ricevono ministri, si discute di tutto ma senza arrivare a una decisione, fa capolino anche l’ipotesi di proporre l’ex premier senza dire di no a Monti, che potrebbe guidare l’Economia.
Sono questi i sussulti, le indecisioni, le discussioni di una giornata che Berlusconi vive in pratica sotto assedio, coltivando incertezze e parecchi dubbi, ascoltando le critiche e i suggerimenti dei suoi uomini, cercando di contenere il disappunto, le riserve di tutti, ma senza arrivare ad una linea che sia chiara e spendibile all’esterno: «Non abbiamo idea del programma né dei tempi del governo, come facciamo a dire di sì?».
Fa capolino anche l’ipotesi dell’appoggio esterno, ma sembra già  scartata perché giudicata impraticabile sia da Napolitano che da Monti: per come stanno le cose, per il livello di emergenza raggiunto dal Paese, la candidatura del professore della Bocconi vive senza sfumature, si può accettare o rifiutare, ma porre condizioni, sembra di capire, «sarebbe da irresponsabili», come pure dicono alcuni dei ministri ricevuti da Berlusconi.
Sarà  oggi un ufficio di presidenza del Pdl a sciogliere i nodi e fornire al primo partito di maggioranza una posizione chiara, netta, da portare al Colle per l’inizio delle consultazioni. Per qualcuno Berlusconi arriverà  di fronte alla prima carica dello Stato con il nome di Dini, per altri con quello di Alfano (su entrambi la Lega direbbe di sì), per altri ancora con una quantità  di dubbi sufficiente per farsi consigliare la linea da Napolitano e accettare nel «bene del Paese» quello che sarà  più opportuno per il presidente della Repubblica.
Fra gli spasmi che si registrano nella residenza del premier ci sono anche critiche aperte alle mosse del Colle, per Berlusconi e il suo staff troppo spedito nel dettare la candidatura Monti, troppo per «non metterci in grave imbarazzo, per non crearci delle difficoltà  al nostro interno, perché in questo modo sembra che dobbiamo soltanto ratificare un percorso già  definito».
Ci sarebbe insomma una faccia da salvare, di fronte ai suoi e al suo partito, oltre che di fronte al Paese. Nessuno mette in conto che sia troppo tardi e alcuni accreditano che persino Gianni Letta si sia lamentato con Napolitano, quantomeno per le indiscrezioni su una lista dei ministri già  pronta, per delle dinamiche mediatiche, comprese le telefonate con i capi di Stato stranieri, che di fatto rafforzano la sensazione di un’ininfluenza delle decisioni dei partiti, cosa che nel Pdl è vissuta come sfregio, una lesione dell’autonomia parlamentare.
Chi ha visto Berlusconi ieri lo ha descritto stanco e sollevato al contempo, voglioso di accettare la candidatura di Monti ma alle prese con problemi che non riesce a risolvere, provato da tanto stress ma convinto che solo una posizione unitaria del Pdl, che verrà  adottata oggi pomeriggio, potrà  far scudo a tante indecisioni.
Sia che proponga formalmente Dini sia che non lo faccia, la sua scelta appare comunque obbligata: difficilmente un partito che si dice moderato e che ha a cuore gli interessi del Paese farà  mancare la fiducia a Monti, se il professore arriverà  in Parlamento. Ma i sussulti interni al mondo berlusconiano e al suo partito non consentono di escludere sorprese. Tranne una che sarebbe clamorosa: Berlusconi che rimette in gioco la promessa di dimissioni; alcune voci ieri sera accreditavano l’ipotesi, categoricamente smentita dai vertici del Pdl.


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