Pdl lacerato, Alfano mediatore Spunta l’ipotesi dell’appoggio esterno
ROMA — «Noi non siamo spaccati, stiamo solo discutendo». Alla prova più dura della sua giovane segreteria Angelino Alfano si trova a fronteggiare la lacerazione trasversale del Pdl, la più bruciante dopo la rottura con Fini. Mezzo partito non vuole rassegnarsi alla possibilità che un governo di emergenza nazionale prenda forma a tempo di record. C’è chi minaccia di uscire e chi di dimettersi dal Parlamento. E l’ipotesi di un appoggio esterno si fa più concreta.
Il cuore del Pdl gronda sangue. L’abbraccio con Fini, Casini e Bersani appare a tanti così urticante che l’opzione di non entrare nell’esecutivo comincia a prendere corpo. A sera, nel vertice con Berlusconi a Palazzo Madama, l’appoggio esterno è il filo rosso che lega gli interventi dei senatori più ostili al nuovo governo. Per tutto il giorno il premier raccoglie gli umori (e i malumori) dei dirigenti.
Al mattino riunisce a Palazzo Grazioli lo stato maggiore e, per ore, soppesa i pro e i contro: «Deciderò dopo aver ascoltato tutti gli alleati di questi anni». Dopo un’altra giornata di pathos il rischio scissione sembra rientrato e i mediatori non disperano di tenere unito il partito. Ignazio La Russa è allergico alle «ammucchiate» eppure conviene che, in una situazione di emergenza, un governo «di soli tecnici» è l’unico «scenario alternativo al voto». Un esecutivo a tempo determinato, «che porti a elezioni nella primavera del 2012». È una proposta, quella del ministro della Difesa, sulla quale Renato Brunetta potrebbe convergere tra i primi e che riduce la distanza con la vasta area dei favorevoli. «Il fronte della responsabilità avrà la meglio» spera Claudio Scajola, che a cena a Milano con un centinaio di politici e imprenditori ribadisce il suo no alle urne anticipate. «Monti? Una soluzione imposta dai fatti» tifa per il governo tecnico Roberto Formigoni, schierato contro quanti, come Maurizio Sacconi, si oppongono alla «guida di un tecnocrate». Paolo Romani è fortemente contrario e così Gianfranco Rotondi, che ha aderito alla manifestazione pro elezioni di Ferrara e minaccia di dimettersi dal Parlamento, con i deputati Cutrufo e De Luca, per denunciare il «golpe silenzioso». E nessuna concessione arriva da Giorgia Meloni: «Sono perplessa, dico no a governi tecnici o di larghe intese».
Tra coloro che mediano per tenere unito il partito si segnala Mariastella Gelmini e Maurizio Gasparri non chiude: «Sono tiepido, ma la formula di un governo di tecnici è sempre meglio che mettere insieme politici di tutti i partiti». In questo quadro si capisce perché Berlusconi prenda tempo. Nel lungo vertice di Palazzo Grazioli si è raggiunto un accordo sulla necessità di non dividersi, ed è già qualcosa. Alfano annuncia che domani il Pdl riunirà l’ufficio di presidenza e chi non sarà d’accordo con le decisioni assunte si adeguerà alla maggioranza. Ufficialmente il Pdl resta sulla richiesta di elezioni anticipate, ma non proverà a ostacolare il lavoro del Quirinale. «Non intendiamo sovrapporci a ciò che il presidente intenderà fare quando avvierà le consultazioni», assicura Alfano. E solo dopo che Napolitano avrà sentito i partiti, il Pdl valuterà «le scelte definitive». Trovare la quadra non sarà semplice. Se Adolfo Urso dialoga, Andrea Ronchi segnala «il disagio di tanti nel centrodestra». Di una scissione nessuno parla apertamente, ma tra gli ex An la dolorosa suggestione dello strappo finale non può dirsi del tutto sopita.
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