Democratici nell’angolo

Loading

La conferma che ogni remora è alle spalle arriva nel primo pomeriggio su Twitter: «I tempi stringono drammaticamente. Siamo pronti ad ogni soluzione che consenta un’accelerazione seria». Firmato Pierluigi Bersani. Il maxi-emendamento del governo alla legge di stabilità  passerà , magari «con il nostro voto contrario, se le cose stanno come le abbiamo lette fin qui, ma certamente senza frammettere alcun ostacolo». Perché, spiega in serata il segretario del Pd al Tg3, quel tweet che parlava di «ogni soluzione» si riferiva «alla tempistica», e «noi abbiamo in testa quello che sta succedendo, un dramma per il paese. Non ci siamo fatti tirare la giacchetta da nessuno, semmai siamo noi che abbiamo tirato per la giacca in queste ore perché si accelerino i tempi, perché Berlusconi si dimetta effettivamente e si possa dar vita a una fase nuova». Entro domenica il voto al testo, e nello stesso giorno potranno anche iniziare le consultazioni, aggiunge. Non spetterebbe a un leader di partito aprire il giro di colloqui al Quirinale, ma ormai le forme sono completamente saltate e i nervi quasi.
Le regole le dettano l’Europa e i mercati. E così è in effetti l’opposizione – in filo diretto con il Quirinale – a spingere per l’accelerazione, di fronte a uno spread che in mattinata schizza anche sopra i 570 punti. Il segretario del Pd si muove in tandem con il leader dell’Udc Pierferdinando Casini, i due fanno sapere di aver telefonato a Giorgio Napolitano per denunciare il ritardo «irresponsabile» del governo, che traccheggia sul maxi-emendamento con le misure dettate da Bruxelles. Perché Silvio Berlusconi – almeno prima che, nel corso della giornata, il partito gli frani addosso – spera ancora di chiudere gli spazi all’ipotesi di governo tecnico. A palazzo Madama, dove è in discussione il ddl stabilità , le opposizioni si rivolgono al presidente Renato Schifani: «Si faccia garante di una rapida approvazione», incalzano. Il Pdl prova a fare melina, si risponde che non si può votare un provvedimento «in contumacia», perché il testo non c’è. Ma dopo la convocazione di Giulio Tremonti sul Colle tutto si accelera. Tanto che la conferenza dei capigruppo del senato, convocata per le 18 – perché l’arrivo del maxi-emendamento era annunciato per le 16 – stila all’unanimità  un calendario da record che prevede l’approvazione in due giorni per poi far votare la camera al massimo domenica. Il provvedimento in realtà  non si è ancora visto, né alle 16 né alle 18, governo e ex maggioranza non smettono di sorprendere e parte una ridda di voci: Scajola annuncia una riunione del consiglio dei ministri, Ignazio La Russa – che del resto a differenza di Scajola ministro lo è ancora – smentisce. Il maxiemendamento lo porta infine Tremonti.
Il leader del Pd ora non parla più di elezioni anticipate, se non come extrema ratio (ma per gra parte del Pd anche l’extrema ratio sembra esclusa). La politica si ritira in buon ordine: «Il Pd da un anno dice o un governo diverso o elezioni, sennò andiamo nei guai seri: adesso ci siamo. Adesso noi diciamo un governo di emergenza e transizione per dare un volto credibile all’Europa e fermare i mercati». Ma il segretario del Pd tradisce un certo nervosismo per una scelta presa altrove e dalla quale il suo partito e la sua leadership hanno molto da perdere, quando aggiunge: «Non mi risulta che fin qui Vendola o Di Pietro abbiano detto qualcosa di diverso, se non una preferenza per le elezioni». Se Di Pietro, restio a mettere la sua firma sotto la «macelleria sociale», «ha cambiato idea – prosegue Bersani – lo vada a dire al capo dello stato. C’è la politica, c’è il politicismo, ma prima c’è l’Italia. Se poi non ci saranno le condizioni di un governo che non intendiamo né di ribaltone né di aggiustamento di qualche transfuga, si vada a elezioni, non abbiamo certo paura».
Nell’attesa, Bersani e ancor più Casini si spellano le mani per la nomina di Mario Monti a senatore a vita. Potrà  guidare il governo solo con una base parlamentare molto ampia, si ripete nel coordinamento del Pd convocato dal segretario alle otto di sera. I dubbi e soprattutto le preoccupazioni restano, ma i segnali che arrivano dal Pdl indicano che dal senato Monti potrebbe fare strada.


Related Articles

Renzi torna a mani vuote

Loading

Le «ambiziose» riforme del premier non impressionano la cancelliera, che chiude le porte ai rifugiati e accelera per mettere al sicuro l’export «made in Germany»

Quel riferimento a Forlani l’ex premier che fu condannato

Loading

 L’affidamento ai servizi sociali per una rivista della Caritas

E DI SEMPLICE NON RESTà’ NULLA

Loading

 Questa legislatura si era consegnata al mondo sventolando una bandiera: semplificazione. Cinque soli partiti in Parlamento, quando il governo Prodi ne riuniva 11 attorno al proprio desco. Fuori le estreme, dalla Destra di Storace a Rifondazione comunista, ghigliottinate dalla soglia di sbarramento. Fusione in un unico cartello di An e Forza Italia (il Pdl), Ds e Margherita (il Pd). Un’idea di riforma costituzionale condivisa, per sfoltire i ranghi (mille parlamentari), per recidere i doppioni (due Camere gemelle). All’epoca venne persino inventato un ministro per la Semplificazione: Calderoli, buonanima.

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment