A Rubalcaba non riesce il ko

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Cinque milioni di disoccupati sono troppi per sperare di rimontare il divario di qui al voto del 20 Nulla di fatto. A meno di sorprese clamorose e al momento del tutto improbabili, Mariano Rajoy sarà  il nuovo capo di un governo del Partido popular dopo il voto del 20 novembre. A Alfredo Pérez Rubalcaba, il candidato socialista che ha accettato il ruolo di kamikaze come candidato del Psoe – il Psoe dopo il naufragio della barca Zapatero -, non è riuscito il colpo della domenica, il colpo del ko, il triplo salto mortale, i termini su cui si erano sbizzarriti i media spagnoli in vista del dibattito televisivo di lunedì sera, organizzato nel terreno neutro dell’Accademia della televisione e guidato (ma solo come arbitro, senza nessuna domanda consentita) dal suo presidente Manuel Campo Vidal. L’unico dibattito della campagna elettorale, perché i populares sanno bene che Rajoy, pur guidando nei sondaggi con un abissale 17% vantaggio (46.6% contro 29.9%), davanti alle telecamere o in pubblico è una frana: non sa parlare, non ha carisma, ha un difetto abbastanza ridicolo di pronuncia con la sua «s» sibilata. Quindi non volevano esporre a rischi lui e il vantaggio che la crisi globale e la sua gestione disgraziata da parte di Zapatero ha regalato all’opposizione di destra (senza che il governo del Psoe fosse, almeno sul terreno economico-sociale, di sinistra).
Un unico dibattito di due ore, ingessato e carissimo (è costato 550 mila euro), su campo neutro dopo che i popolari avevano rifiutato gli inviti della tv pubblica e i socialisti quelli delle tv private; trasmesso da 17 emittenti fra spagnole e internazionali (Sky per l’Italia). Un dibattito visto da 12 milioni di spagnoli con un grande share del 54% ( però un 8% in meno rispetto ai due del 2008 in vista delle elezioni di marzo, fra Zapatero e lo stesso Rajoy), con 650 giornalisti accreditati. Ma un dibattito in sostanza troppo ingessato e quindi noioso, e in molti casi auto-referenziale ed elusivo: nessun accenno alla corruzione dilagante anche nella politica spagnola, alla scandalosa evasione fiscale, alle domande poste da un movimento de los indignados di cui nessuna sembra più preoccuparsi.
Rajoy per quanto soporifero ha avuto gioco facile: doveva solo battere e ribattere sui 5 milioni di disoccupati che Zapatero si lascia indietro, e lo ha fatto. E Pérez Rubalcaba, più comunicativo e più aggressivo, di Zapatero è stato in questa seconda e disastrosa legislatura zapaterista il numero due, ministro degli interni e vice-premier. Tanto che Rajoy, forse apposta forse no (più sì che no) per un paio di volte si è sbagliato (o ha fatto finta) chiamandolo «Rodriguez Rubalcaba». Come a volerne sottiolineare la continuità  rispetto ai disperati tentaviti del candidato socialista di smarcarsi da colui che è ancora il capo del governo ma che in campagna elettorale è un «desaparecido». Ma che Pérez Rubalcaba e i socialisti siano alla frutta lo dimostra anche la riesumazione, in chiave anti-zapaterista, del vecchio e (un tempo) carismatico Felipe Gonzalez, che Zapatero nel 2004 aveva messo da parte dopo la poco gloriosa fine dei suoi 14 anni di governo fra l’82 e il ’96 (lui d’altra parte se ne era fatto una ragione divenendo un ricercato procacciatore d’affari per le grandi compagnie spagnole in America latina e nel mondo).
Pérez Rubalcaba ha provato a stringere nell’angolo Rajoy per «le ambiguità » del suo programma elettorale, per «l’agenda nascosta» del suo governo, che non parla ma prevede privatizzazioni nella sanità  e nell’istruzione, ancor più tagli di quelle fatti da Zapatero dopo lo scoppio della crisi del 2008, a cominciare dalle indennità  di disoccupazione: «se lei, signor Rajoy, raccontasse alla gente i piani che ha in testa, neanche i membri del suo partito la voterebbero». Ok, ma in queste condizioni sociali, i giochi sembrano fatti. Rubalcaba sembrava già  il leader dell’opposizione e trattava già  Rajoy da capo del governo. Dal canto suo Rajoy, che aveva perso entrambi i dibattiti con Zapatero nel 2008, cercava di mantenere l’aplomb e di limitare eventuali danni.
Secondo tutti i giornali, non solo quelli di destra tipo el Mundo, la Razon, Abc, il grigio Rajoy finalmente ha vinto un dibattito (unica generosa eccezione Publico, quotidiano un po’ a sinistra del Psoe che ha visto Pérez Rubalcaba vittorioso). Idem le tv (ma il canale elettorale di You tube impalma il candidato socialista). Con 5 milioni di disoccupati sul groppone di Zapatero e di Pérez Rubalcaba, Rajoy ha avuto e avrà  gioco facile. Forse l’obiettivo del candidato socialista era più quello di salvare il salvabile che di tentare una rimonta impossibile: dopo la debacle socialista nelle regionali-municipali di maggio, cercare di impedire che nelle politiche del 20 novembre, il Pp sfondi la linea della maggioranza assoluta che gli consentirebbe di governare da solo. Per farlo dovrebbe riuscire a mobilitare quel 30% di indecisi, in gran parte elettori socialisti delusi.


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