Astensione e poi mozione di sfiducia Pd, Terzo Polo e Idv studiano il ko
ROMA – Una giornata cruciale oggi, in cui non si può sbagliare una mossa. L’opposizione lo sa così bene che nello studio di Fini ieri a Montecitorio, Bersani, Casini, Rutelli, Franceschini e Cesa vagliano tutte le ipotesi per dimissionare Berlusconi. «Senza regalargli vantaggi tattici», quindi subito. Il governo Berlusconi è «un film finito», siamo all’ultimo atto, però ci possono essere ancora sorprese. Un’ora di discussione (prima, Fini aveva incontrato Schifani), anche se i contatti sono continuati fino a notte. La strategia del Pd e del Terzo Polo – su cui Di Pietro alla fine concorda – è di approfittare del voto di oggi sul Rendiconto (quello che torna alla Camera dopo la bocciatura dell’11 ottobre perché la maggioranza già non c’era più), per mostrare che il governo del premier è franato. Non ci sono più i numeri, mentre quelli dell’opposizione – tra fuoriusciti e acquisti dell’Udc – stanno tenendo.
Le opposizioni accelerano. Potrebbero astenersi sul Rendiconto, per quel senso dello Stato che sta tanto a cuore a Napolitano. Se gli astenuti superassero la coalizione di governo, la legge risulterebbe approvata ma il dato politico inequivocabile sarebbe che la maggioranza si è squagliata. Tuttavia l’astensione torna in discussione ieri sera dopo il vertice da Fini. Cosa è più responsabile – hanno ragionato i leader dell’opposizione – una spallata a Berlusconi subito anche a costo di bocciare di nuovo il Rendiconto o rischiare che l’agonia del governo continui? Bersani ha sentito personalità della finanza, delle banche, imprenditori: l’altalena dei mercati, lo spread che si restringe appena si diffonde la voce che Berlusconi ha mollato e si allarga quando il Cavaliere smentisce, impongono di giocare d’attacco. Il “nodo” astensione/voto contrario sarà sciolto stamani da tre appuntamenti: la presidenza del gruppo Pd (alle 10); la riunione dei capigruppo di tutte le opposizioni allargata anche ai liberaldemocratici Daniela Melchiorre e Tanoni e al repubblicano Giorgio La Malfa (alle 11,30); l’incontro tra Bersani e i leader radicali Marco Pannella e Emma Bonino, i quali sostengono: «È bene andare verso l’astensione», le istituzioni vengono prima di tutto. Il voto sul Rendiconto è nel pomeriggio.
Ma oggi l’opposizione deciderà se presentare o meno la mozione di sfiducia. Il testo della mozione è già pronto, da depositare e votare al più tardi martedì prossimo. Casini ha frenato: «Aspettiamo le mosse di Berlusconi e poi decidiamo». Bersani è per forzare. Però dichiara: «Decideranno i capigruppo». Nessuno dimentica il fallimento del 14 dicembre. Neppure si vuole rischiare che Berlusconi giochi lui d’anticipo e magari incassi una fiducia al Senato (sul maxiemendamento alla legge di stabilità ), cadendo poi alla Camera dove i numeri già non li ha più. La mozione di sfiducia è indispensabile, a meno che – hanno ragionato Bersani, Fini e Casini – il capo dello Stato non chiami subito oggi Berlusconi al Quirinale. La battaglia finale si gioca in queste ore. Beppe Pisanu, l’ex ministro dell’Interno, senatore pdl, presidente della commissione Antimafia, ha dichiarato che se una mozione di sfiducia puntasse alla «nascita di un governo di larghe intese e di unità nazionale, io la voterei».
Nel vertice delle opposizioni si è parlato anche di Gianni Letta e del profilo del governo di transizione e dell’incognita-elezioni. Dario Franceschini fa insistito sull’unità delle opposizioni. Nel Pd non tutti pensano che sia la priorità . Sul Rendiconto, Pier Paolo Baretta, il capogruppo democratico in commissione Bilancio, è convinto che votare contro significherebbe mantenere la coerenza: tra unità e coerenza, meglio quest’ultima. Rosy Bindi preferirebbe anche lei la spallata, senza drammatizzare sulle diversità con il Terzo Polo. Come Di Pietro. «Decideremo tutti assieme», assicura Della Vedova (Fli).
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