Donne segregate l’apartheid sul bus divide Brooklyn

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NEW YORK. Il profumo del pane appena sfornato e ancora caldo lo si avverte appena saliti sull’autobus: è uno dei segni che è stata celebrata la festa ebraica di Shemini Atzeret. Ma il pane è invisibile, lo portano le donne laggiù in fondo all’autobus: quella zona è proibita a un maschio, anche se giornalista. Così funziona la linea B110 di Brooklyn, che porta da Williamsburg al Borough Park. Un viaggio nello spazio e anche nel tempo. Per molti turisti avventurarsi in questa zona di New York significa scoprire paesaggi e atmosfere che evocano la Mitteleuropa dei ghetti ebraici nel primo Novecento, ai tempi di Franz Kafka. Stessi vestiti, stessi panorami in bianco e nero. Uomini con le treccine lunghe ed enormi cappelli di pelliccia, donne con le gonne fino alle caviglie. Tutti rigorosamente separati – davanti i maschi, sul retro le femmine – quando si sale sul bus municipale. Così dettano le usanze, nel rione di Brooklyn popolato dalla comunità  tradizionalista degli ebrei hassidici. E finora gli altri si sono adeguati, accettando anche la sospensione della linea B110 dal venerdì sera fino alla domenica mattina, per non turbare la celebrazione del sabato ebraico. Ma per la prima volta una “intrusa” ha deciso di sfidare i costumi della comunità  ultraortodossa.
Un donna newyorchese, di cui non è stata rivelata l’identità , è salita sulla parte anteriore del bus, provocando le rimostranze dei passeggeri. Il caso è finito su The New York World, la pubblicazione della scuola per giornalisti alla Columbia University. È dovuto intervenire il sindaco in persona. Michael Bloomberg, ebreo poco praticante e affiliato al Reform Judaism d’impronta progressista, non ha esitato un attimo: «La segregazione fra uomini e donne sugli autobus di New York non è consentita. Se qualcuno la pensa diversamente, che noleggi un pullman privato dove farà  quel che gli pare». La questione è delicata, anche per i precedenti storici: nel Sud degli Stati Uniti furono i neri a combattere memorabili battaglie negli anni Cinquanta per superare l’apartheid sui mezzi di trasporto pubblici (Montgomery Bus Boycott, Alabama 1955). Qui a New York la faccenda è complicata. La compagnia che gestisce il servizio sulla linea B110 è privata. Però è titolare di una licenza di pubblico servizio, e quindi il suo presidente Jacob Marmurstein deve rispettare le regole della città  che proibiscono qualsiasi discriminazione. «Se è un servizio aperto al pubblico lo regoliamo noi», conferma il Transportation Department municipale. Ma che succede se la segregazione è condivisa? Che fare, se le donne hassidiche preferiscono stare sedute nelle file dietro, in modo che gli occhi degli uomini non si posino su di loro? La contestazione anti-apartheid per ora non turba gli ultraortodossi. Il servizio è ripreso come di consueto. Ciascuno al posto che gli compete, ordinatamente, Bloomberg dica quel che gli pare. Il “melting pot” americano è un’idea astratta, in un rione di Brooklyn la società  multietnica continua a essere un’altra cosa. Un mosaico di universi chiusi, autoreferenziali, ciascuno dei quali si conquista la pace seguendo una regola antica: non metter naso negli affari del vicino.


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