Milano, intercettazioni pagate con i beni dei boss
MILANO – Hanno seguito le loro mosse per due anni. Ascoltato le telefonate tra decine e decine di indagati, spiato le loro corrispondenze, ogni minimo movimento bancario. Alla fine, il primo luglio 2010, la Direzione distrettuale Antimafia di Milano (procuratore aggiunto Ilda Boccassini, pm Alessandra Dolci e Paolo Storari), ha fatto scattare il blitz: 160 persone in carcere con l’accusa di fare parte della ‘ndrangheta. Personaggi del calibro dell’ex direttore dell’Asl di Pavia, Antonio Chiriaco, indicato come un uomo in mano ai clan, ma anche il presunto capo della ‘Ndrina lombarda, Pasquale Zappia. Grazie alle chiaccherate telefoniche, gli investigatori sono anche riusciti a filmare un rito di iniziazione celebrato in un locale pubblico affittato appositamente dai boss nella periferia milanese.
L’operazione si chiamava «Infinito», e solo per ottenere le tanto discusse intercettazioni telefoniche, la procura di Milano si è accollata una spesa di «3 milioni e 673 mila euro». Una bella cifra, soprattutto se si volesse cavalcare la campagna politica che le vorrebbe abolire del tutto. In questo caso, però, è stata un’arma fondamentale per dare un colpo mortale alle infiltrazioni mafiose in Lombardia, al controllo illecito degli appalti, a quello delle nomine di manager compiacenti nel dorato mondo della sanità pubblica. Ora, però, questo conto, non verrà saldato dalle già tanto disastrate casse dello Stato. Con due distinti provvedimenti, la procura ha ottenuto «il sequestro conservativo» di una cifra di poco inferiore: 3 milioni e mezzo di euro. Tutti beni riconducibili a ventinove presunti affiliati alla ‘ndrangheta, in gran parte ville e immobili su cui, tra l’altro, non pende alcun vincolo. Nel caso gli imputati dovessero essere condannati anche in primo grado, il sequestro potrà tramutarsi immediatamente in confisca e il ricavato della vendita entrare direttamente nelle casse dell’Erario.
Alla procura di Milano è bastato avvalersi di una recente sentenza della Cassazione in tema di «spese processuali a carico dell’imputato condannato». Così, due giorni fa, gli uomini del Gico della guardia di finanza di Milano, su ordine del gip Roberto Arnaldi e della ottava sezione penale (presidente Maria Luisa Balzarotti) hanno posto i sigilli su un villino dell’ex direttore sanitario di Pavia, ma anche su altri immobili al Nord come a Mariano Comense e Cremella (Lecco), o direttamente stabili in Calabria (soprattutto a Oppido Mamertina e Grotteria). Proprietà riconducibili a soggetti oggi in carcere, che in moltissimi casi nell’ultimo 740 dichiaravano cifre di poco superiore ai duemila euro annui, ma che in realtà , per gli investigatori, altro non erano se non boss o portaordini della ‘ndrangheta che faceva affari al Nord.
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