I carnefici del territorio

Loading

Non servono più gli allarmi se i sindaci non mettono in atto misure di prevenzione. Se il clima è cambiato, se a Genova in cinque minuti sono caduti 50 millimetri di acqua, dobbiamo cambiare anche noi. Altrimenti si continuerà  a morire, nelle grandi città  e nelle nostre case che crediamo sicure. A Genova il sindaco ha lasciato scuole e uffici aperti, e solo ieri sera ha proibito, per oggi, il traffico di auto. Troppo tardi.
Oltre alla profonda tristezza, da lacrime agli occhi, si resta increduli nonostante lo si sia detto troppe volte. Si denunciano lo scellerato consumo di suolo libero, la cementificazione selvaggia, l’incuria cui sono sottoposti i terreni demaniali in svendita, i boschi, le coste e i suoli che un’agricoltura in crisi come non mai non riesce più a curare. Lo Stato da anni taglia fondi e personale per la cura del territorio. Pensano alle grandi opere e non si preoccupano più delle piccole. Minime, ma che a volte salvano vite. Ci sono delle colpe. Gravi.
L’altro ieri il ministro dell’Ambiente, Stefania Prestigiacomo, ammetteva il fallimento dell’impegno principale assunto sull’ambiente. Come ha dichiarato la ministro in commissione al Senato, il miliardo di euro stanziato con la Finanziaria 2010 per la messa in sicurezza del territorio non è mai stato reso disponibile. Con la legge di stabilità  è stato anche ufficialmente cancellato e sostituito con un impegno del tutto generico, e non vincolante. Queste sono colpe, per cui un normale cittadino verrebbe condannato. Non c’è crisi che tenga di fronte alla cura del bene comune, il primo impegno che ogni Stato degno di questo nome dovrebbe avere.
Non c’è cura se non si cura la piccola agricoltura di qualità , che in molte zone ritenute “arretrate” ha salvato dal naufragio (umano nonché meteorologico) intere aree del Paese. Non c’è cura se si preferisce l’agricoltura dei grandi numeri, quella industriale che dicono «competitiva», che alla fine desertifica. Non c’è cura se c’è cemento ovunque. Non c’è cura se il soldo arriva a prevalere sul buon senso, quello che potrebbe salvare i nostri territori dalla bruttezza e dall’insicurezza più letale.
Smettiamola di dire che le alluvioni sono eventi eccezionali. Perché le abbiamo rese normali. Di fronte a cittadini ormai disabituati alla cura, lo Stato e la politica su questo fronte hanno colpe enormi. Sono anni che non si vede tra le priorità  di un programma elettorale o di governo la difesa del territorio, nemmeno tra i riempitivi. Spero che mentre si contesta questo governo, visti i drammi recenti, i partiti inizino a pensarci seriamente, a programmare, a spendere parole e impegni forti, proprio a partire dalle adunate di piazza. Spero che ascoltino quella buona parte di società  civile che lo chiede da tempo e già  ci lavora con passione e sacrifici. O quegli agricoltori distrutti dai debiti che nonostante tutto lo fanno ogni giorno, nel proprio podere. Un poeta come Tonino Guerra un anno fa mi ha detto: «L’Italia non è più bella come una volta, è inutile che mi rompano le scatole, perché una volta c’era chi la curava. Non erano dieci persone messe lì e pagate dallo Stato, erano quelli che l’abitavano: i contadini. Dobbiamo riapprendere quella forza d’amore che avevano loro». Qui non è più sufficiente indignarsi, bisogna tornare ad amare per davvero questa terra. Vilipesa non soltanto nei comportamenti inqualificabili di chi governa, ma nell’indifferenza di fronte a scempi che non sono più tollerabili. Anche se non lo erano già  ben prima di arrendersi allo sgomento di questi tristi giorni della nostra storia.


Related Articles

Metà  delle coste italiane a rischio, allarme Wwf scomparso nell’ultimo secolo l’80% delle dune

Loading

Nell’ultimo secolo è stata compromessa più della metà  delle coste italiane. Non solo. È sparito l’80 per cento delle dune, è stato eroso il 42 per cento dei litorali sabbiosi e oggi quasi 8.000 chilometri di spiaggia sono a rischio scomparsa, minacciati dell’erosione costiera, il degrado, la cementificazione selvaggia, l’inquinamento da terra e dal mare.

Roma, le ruspe abbattono lo Scup, via libera alla speculazione

Loading

E sei. Dopo l’Angelo Mai, il Vol­turno, il Valle, l’America, il Rialto Sant’Ambrogio, a Roma, ieri mat­tina, è stato spento anche Scup. Acro­nimo che sta per Sport e cul­tura popo­lari. Sgom­be­rato e abbattuto.

Rio +20: dalle popolazioni indigene la proposta del Buen Vivir

Loading

Brazil

A meno di tre mesi dall’inizio della Conferenza delle Nazioni Unite sullo Sviluppo Sostenibile Rio +20 le popolazioni indigene andine hanno preparato un documento che sottolinea le necessità  e le priorità  da affrontare 20 anni dopo la conferenza storica di Rio de Janeiro del 1992. Quella dell’Agenda 21, dello sviluppo sostenibile e degli obiettivi da raggiungere sull’ambiente e la partecipazione, per intenderci. E che oggi a 20 anni da quella data ci siamo quasi dimenticati.

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment