Amazzonia, i pesci o la diga
In barba alle pressioni politiche, il giudice Carlos Castro Martins ha dunque accolto le motivazioni che avevano spinto l’Associazione degli allevatori ed esportatori di pesci ornamentali di Altamira, cittadina fluviale presso il sito della nuova opera, che avevano presentato un’azione legale contro il consorzio industriale della futura diga. La sentenza ora vieta al Consorcio Norte Energia Sa di iniziare a costruire «porti, canali e qualsiasi tipo di scavo che pregiudichi la fauna ittica del fiume Xingຠe le attività delle comunità di pescatori locali». Il giudice precisa che se violerà il divieto, consorzio idroelettrico (di cui fa parte anche l’azienda europea Iberdrola attraverso la filiale locale Neonergia) dovrà pagare di ammenda 108.000 dollari al giorno. La sentenza, emessa tre giorni fa, blocca effettivamente la costruzione della diga di belo Monte – tanto più che segue quella emessa pochi giorni prima dal Tribunale federale regionale, che ha giudicato illegale l’autorizzazione data dal governo al progetto in quanto non aveva previamente consultato le popolazioni indigene, violando così la costituzione.
La diga di belo Monte, che se costruita sarà la terza più grande del mondo, è uno dei cavalli di battaglia energetici della presidenta brasiliana Dilma Roussef. Il progetto risale agli anni ’80 – la dittatura militare intendeva così «colonizzare il territorio amazzonico» – e avrebbe dovuto iniziare a funzionare nel 2015. Di fronte alle proteste locali e a campagne internazionali molto mediatizzate (celebre ed efficace quella condotta dal capo indigena Raoni e dal cantante Sting), il governo decise di posporre l’avvio dei lavori al 1999. Una nuova campagna, mossa da Survival International e dal cineasta James Cameron, è riuscita a ritardare ancora il contestato progetto. La costruzione della diga sul fiume Xingù costerà 10.6 miliardi di dollari, dice il governo, e la centrale idroelettrica avrà una capacità stimata di 11,233 mW. Per il cantiere si prevede l’arrivo di duecentomila lavoratori, mentre una popolazione di 25.000 indigeni di 14 distinte nazionalità sarà spinte altrove. Il lago artificiale formato dalla diga inonderà 9 milioni di ettari, distruggendo foreste ed ecosistemi unici.
Il governo brasiliano sostiene la necessità della diga di belo Monte per garantire energia al nord del paese, e argomenta che non saranno inondate le aree dei popoli nativi kayapà³, arara, juruna, araweté, xikrin, asurini e parakanà£, che da generazioni vivono nella bioregione del fiume. Il Brasile sta crescendo, insiste il governo, e ha bisogno di fonti complementari al nucleare e al petrolio.
Sul’altro fronte, i gruppi ambientalisti e le popolazioni indigene autoctone. In una lettera indirizzata all’allora presidente Lula, l’anno scorso i rappresentanti Kayapò avvisavano che «non vogliamo che questa diga distrugga gli ecosistemi e la biodiversità che abbiamo saputo proteggere per millenni e che possiamo ancora conservare. Se la costruzione continua, il fiume Xingu si trasformerà in un fiume di sangue». L’opposizione è netta. La settimana scorsa centinaia di indigeni, pescatori e ambientalisti del movimiento Xingu Vivo Para Siempre (www.xinguvivo.org.br) avevano rioccupato i cantieri fra Altamira e Anapu. Hanno dovuto sgomberare dopo appena un giorno, dopo all’arrivo dei primi contigenti della polizia militare e dagli avvocati del consorzio Norte Energia. Ora la decisione del giudice federale blocca temporaneamente la costruzione.
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