Bill Gates sfida i Grandi della terra “Non siano i poveri a pagare per tutti”

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WASHINGTON – Bill Gates, il miliardario filantropo, fondatore della Microsoft, ha ricevuto il 24 ottobre, insieme al finanziere Warren Buffett, il premio assegnato dalla filiale americana del Pam (Programma alimentare mondiale) per il suo impegno nella lotta contro la fame. Gates e Buffett hanno messo in campo per il 2008 un programma chiamato Purchase for Progress (comprare per il progresso), che consente agli agricoltori di vendere la loro produzione direttamente al Pam non appena migliorano la qualità  del raccolto.
Prima del G20 di Cannes, che si aprirà  giovedì 3 novembre e dove Bill Gates presenterà  un rapporto sul finanziamento dello sviluppo che gli è stato commissionato dal presidente francese Nicolas Sarkozy, il celeberrimo imprenditore della Microsoft ha risposto alle domande di Le Monde negli uffici della sua fondazione, a Washington. «Sconvolto» dal fatto che nel XXI secolo il pianeta soffra ancora la fame e la povertà , Gates si lancia in un’arringa in favore del sostegno ai programmi agricoli, garanzia di «stabilità » e di «crescita».
La sua fondazione si occupava soprattutto di problemi sanitari. Perché avete deciso di impegnarvi sull’agricoltura?
«La Banca mondiale ha dimostrato che il migliore investimento per ridurre la povertà  è sviluppare l’agricoltura: il 77 per cento delle persone più povere del pianeta è costituito da contadini. All’inizio del 2000 abbiamo cominciato a riflettere sul modo per aiutare i Paesi poveri a diventare autosufficienti. La “rivoluzione verde”, che in Asia è stata un successo, in Africa non c’è mai stata veramente. Per quasi tutti i prodotti agricoli che si coltivano in Africa è possibile raddoppiare la produttività . È un obbiettivo vitale! Ma è qualcosa che richiede tempo. Per le ricerche sulle sementi, bisogna calcolare una decina d’anni».
A Cannes lei sarà  il primo privato cittadino a intervenire a un vertice del G20. Perché ha accettato?
«Sono stato invitato dal presidente Sarkozy. È un vero onore. Ho avuto l’opportunità  di prendere in esame tutti i Paesi del G20 per vedere in che modo ognuno di loro, in collegamento con il settore privato, lavora per migliorare le condizioni dei più poveri. Anche in questo periodo di fortissima incertezza economica è una cosa che bisogna continuare a fare. Il G8 del 2009 si era impegnato a stanziare aiuti per 22 miliardi di dollari per la sicurezza alimentare. Finora è stata versata solo la metà  di quella cifra…È un messaggio che porterò a Cannes. Non possiamo voltare le spalle ai più poveri, nemmeno in questi momenti difficili. La crisi dei bilanci pubblici non deve penalizzare programmi come quelli che riguardano l’agricoltura. Un vaccino può salvare vite umane, con poche migliaia di dollari. Nel mio rapporto, faccio appello ai leader perché mantengano le loro promesse, anche in questi tempi difficili. E parlo di alcune delle tasse che, Paese per Paese, possono aiutarli a tener fede ai loro impegni. Una tassa sui trasporti aerei, come hanno fatto cinque o sei Paesi. O una tassa sulle transazioni finanziarie, come quella che esiste in un certo numero di nazioni».
Lei è favorevole alla tassa sulle transazioni finanziarie?
«Nessuna tassa sarà  adottata dal 100% dei Paesi. Sono degli strumenti, che si tratti di un aumento delle imposte sul tabacco, di una tassa sul carburante aereo o di una tassa sulle transazioni finanziarie. Questi strumenti consentono di generare degli introiti per aiutare i più poveri o per ridurre il deficit, e ogni Paese deciderà . È una decisione che spetta agli Stati sovrani. Il mio scopo è far progredire una cosa che funziona, anche se non ci sarà , come è probabile, l’unanimità . Sono pronto a difendere alcune di queste tasse, fra cui quella sulle transazioni finanziarie, perché ho avuto modo di vedere come funzionano».
Non ha citato gli Stati Uniti, dove la tendenza è semmai quella di ridurre gli aiuti allo sviluppo…
«Ah sì, gli Stati Uniti, ho dimenticato di parlarne… (ride) Prima di tutto va detto che in termini assoluti gli aiuti americani sono il doppio di quelli di qualsiasi altro Paese. Sul fronte della lotta alla malaria e all’Aids, gli Stati Uniti sono stati esemplari. Ma in termini percentuali, rispetto alle dimensioni dell’economia, gli aiuti americani sono appena lo 0,21%. Sono venuto a Washington per spiegare perché è necessario incrementare questa cifra. Il Congresso forse deciderà  in senso opposto. Ma se i parlamentari americani capissero quanto sono diventati più efficaci gli aiuti rispetto a venti-trent’anni fa, non taglierebbero i fondi. Sono davvero impressionato da quello che ha fatto il Regno Unito. Abbiamo bisogno che un maggior numero di Paesi, fra cui gli Stati Uniti, segua l’esempio del governo di Londra».
È del parere che ci dovrebbero essere più uomini d’affari e meno politici a dirigere il pianeta?
«Io non dirigo il pianeta! E non aspiro a farlo. Però sì, penso che sarebbe un bene che una parte degli uomini politici avesse esperienza del mondo degli affari. Il mondo degli affari ha degli insegnamenti da offrire, anche se non sono applicabili al 100 per cento. Nel mio caso, e non sono certo un politico, il fatto di conoscere la regola del profitto e il funzionamento delle imprese del settore scientifico mi è stato d’aiuto per dirigere la fondazione. La filantropia può trarre beneficio da questa commistione. E lo stesso vale per i governanti».
(Traduzione di Fabio Galimberti)
©(2011) Le Monde. Distributed by The New York Times Syndicate


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