I diritti con il contagocce

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 ASCOLI PICENO. Lo stabilimento della Pfizer lo si può già  vedere dalla superstrada che da San Benedetto conduce ad Ascoli Piceno. La fabbrica, a forma di parallelepipedo, si staglia in lontananza dalla zona industriale. Non lontano la Manuli, la Ahlstrom, tutti simboli della crisi che colpisce da anni anche questo territorio. La Pfizer è una multinazionale americana per la produzione di farmaci. In realtà  è il punto di arrivo di una storia che inizia nel 1972 con la Carlo Erba, un nome importante della nostra storia industriale. Allora occupava 60/70 persone. Negli anni successivi si assiste a una crescita della produzione fino a raggiungere 12 milioni di pezzi annui, tra supposte di glicerina e lo sciroppo Be-Total, tutti prodotti noti alle famiglie italiane. Siamo tra il 1979 e il 1980 e l’azienda cambia nome diventando Farmitalia Carlo Erba. Nel 1994 viene acquisita dagli svedesi di Kabi Pharmacia. Nel 2002 viene rilevata dalla Pfizer. In questi anni è continuata a crescere e attualmente occupa 650 dipendenti, di cui 550 contratti a tempo indeterminato e 100 tra contratti a tempo determinato e di tipo interinale.

E veniamo alla vicenda che vi vogliamo raccontare che non ci parla solo delle perdita di posti di lavoro, ma esemplifica in maniera emblematica come la linea Marchionne ormai sia diventata la Bibbia.
In un bar alla periferia della città  incontriamo Doriana, Gloria, Gianfranco, Luigi e Romano, i protagonisti di questa storia che inizia nella primavera di due anni fa. «Il 6 aprile del 2009 – racconta Luigi che fa un po’ da portavoce – dopo il mancato accordo con i sindacati, l’azienda chiede 46 esuberi su 650 lavoratori occupati. Poi il numero scende a 25». Ma la scrematura prosegue poiché 15 decidono di accettare la «transizione», cioè scendono a patti con la proprietà . Ne rimangono fuori dieci che decidono di resistere. Il 31 luglio, siamo alla vigilia delle ferie che si riveleranno decisamente amare, arrivano le lettere di licenziamento. Stessa sorte subiscono coloro che si erano «accordati». In realtà  dietro tutto questo c’è un vero e proprio piano di ristrutturazione che la multinazionale del farmaco vuole attivare negli stabilimenti italiani (produce anche a Catania e Latina). La Pfizer si vuole liberarsi del personale più anziano che viene indotto al prepensionamento, per sostituirlo con lavoratori precari, ricattabili. «Ora addirittura si fanno contratti week-end come nei centri commerciali», denuncia Luigi.
Ma torniamo ai dieci che fanno opposizione. Quasi subito rimangono in nove, perché uno cede all’azienda, viene licenziato e poi riassunto con un contratto peggiorativo. La direzione giustifica la scelta denunciando un calo di fatturato e di produttività  dovuti ad alcuni brevetti di certi farmaci scaduti. La verità  emerge se si vede il profilo dei dieci individuati: sono tutti attivisti sindacali, che infatti sono stati sostituiti da personale con lo stesso profilo professionale. Intanto da nove, il gruppo si è ridotto a sette, perché due sono andati in pensione. Fanno ricorso al tribunale di Ascoli e decidono di presentare un esposto all’Ufficio provinciale del lavoro denunciando che mentre si licenzia si continua ad assumere. Una indagine che si è conclusa ma per ora non si sa con quale esito.
Nel dicembre del 2010 il tribunale di Ascoli dà  ragione ai lavoratori e invita la Pfizer al reintegro, ma la proprietà  si rifiuta. Il pretesto è che ricorrerà  in appello. Intanto tenta un accordo con il gruppo proponendo sì di riprendere i «ribelli», ma con un nuovo tipo di contratto, naturalmente svantaggioso. Fino ad arrivare alla cronaca di questi giorni quando la Corte d’appello di Ancona, il 17 ottobre, respinge il ricorso della Pfizer e ribadisce che i lavoratori devono essere reintegrati. Doriana, Gloria, Gianfranco, Luigi e Romano pur dichiarandosi contenti di questa nuova sentenza non sono molto ottimisti per il futuro e confessano che non si aspettano un cambiamento di linea da parte dell’azienda. «Non abbiano riscontrato molta solidarietà  tra i lavoratori – lamentano – È stato fatta solo un’ora di sciopero. Lasciamo perdere la Uil, che nel nostro caso è fortemente compromessa con la proprietà , ma anche Cgil, Cisl e Ugl presenti in fabbrica non si sono particolarmente impegnati».


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